Don Milani.
Il 15 febbraio del 1966 veniva processato per apologia di reato.
Il suo crimine?
Aver insegnato a un gruppo di ragazzi contadini che la propria coscienza sta sopra le leggi e che avere cultura significa sapersi dire nel mondo.
La sua “Lettera ai giudici” resta un capolavoro letterario che ha guidato verso la bellezza della responsabilità la nostra vita e quella di intere generazioni.
Ha testimoniato un’evidenza ormai rara: che le scelte, quelle vere, hanno un prezzo.
E in cima a quel prezzo non c’è la sofferenza ma la libertà, la pienezza.
“E allora il mastro deve essere per quanto può, profeta, scrutare i “segni dei tempi”, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso.”
“Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande ‘I care’. E’ il motto intraducibile dei giovani americani migliori. ‘Me ne importa, mi sta a cuore’. E’ il contrario del motto fascista ‘Me ne frego'”.
“Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto.”