Mi vado convincendo sempre di più del fatto che la ‘ndrangheta sia in realtà ben poca cosa. O meglio, che certa ‘ndrangheta altro non rappresenti che l’estensione plastica delle nostre debolezze.
Alcuni livelli criminali, insomma, si alimentano soltanto delle nostre paure. Trasformando i nostri timori nella loro unica forza.
Facciamo un esempio pratico.
Ieri ho scritto dell’inchiesta “Alba di Scilla 3”, in manette sono finiti 6 esponenti del clan Nasone-Gaietti, di Scilla, paesino dell’area tirrenica alle porte di Reggio Calabria.
Bene, a maggio del 2012, cioè già lo scorso anno, la Dda di Reggio Calabria fece scattare le manette ai polsi di 12 boss e picciotti dello stesso clan.
L’accusa era di associazione a delinquere di stampo mafioso, danneggiamenti ed estorsione. Un classico.
I protagonisti di quella operazione, “Alba di Scilla 1” per intenderci, chiedevano tangenti del 3% sull’importo delle opere alle aziende che lavoravano in sub appalto per la realizzazione della Salerno-Reggio Calabria.
Il solito metodo, incendi, minacce sui cantieri e pallottole, che precedono l’avvicinamento dell’imprenditore per chiedere la messa a posto. Il pizzo. All’epoca gli andò male. Perché intercettati dai carabinieri finirono in galera tutti. Di seguito i fatti vennero anche confermati dagli imprenditori chiamati a rispondere di quelle intercettazioni che, ovviamente, nessuno poteva negare.
Per farla corta i “nostri eroi” del 2012 sono oggi sotto processo con rito abbreviato e il pm Rosario Ferracane la scorsa settimana ha chiesto condanne che vanno fino a 20 anni di reclusione. Processo blindato, quando basta per dire che forse di anni non se ne faranno 20, ma che sarebbe bene disdicessero eventuali appuntamenti presi per almeno 10 o 15 anni. Bene, torniamo ai nostri eroi di “Alba di Scilla 3”.
Il mese dopo gli arresti del 2012, i picciotti della famiglia restati fuori della prima inchiesta hanno la geniale idea di tornare sui cantieri e andare a trovare gli stessi imprenditori.
Arrivati sui cantieri fanno sapere: “A Scilla nulla è cambiato nonostante gli arresti, dovete continuare a pagare la mesata”. Naturalmente, gli imprenditori (che già avevano denunciato) altro non hanno potuto fare che tornare dai carabinieri e ridenunciare il tentativo di estorsione.
Così, fatte quattro indagini al volo, al gabbio ci sono finiti anche questi altri sei eroici furbastri. Naturalmente il pm chiederà anche per loro una ventina di anni di carcere.
È poi possibile che le difese percorrano la strada della richiesta di semi infermità. In effetti come dargli torto, questi un po’ scemi lo sono.
E visto il QI dei sedicenti boss emergenti, in realtà ‘ndranghetisti da quattro soldi, mi vado convincendo che se esiste gente del genere è soltanto perchè è temuta e legittimata dalle persone perbene.
Sì, in un Paese civile, questi non solo non sarebbero ritenuti dei boss, ma verrebbero presi a calci nel sedere per strada. La loro forza è alimentata dalle nostre paure.
Niente di più.
Lascia un commento