Passo molto tempo su autobus e treni. Non sento parlare d’altro che degli stranieri che rubano e ci tolgono il lavoro e chiedono l’elemosina e insozzano le città e devono essere cacciati a calci al loro paese o lasciati annegare nel Mar Mediterraneo.
Questa è l’Italia reale. Dobbiamo ascoltarla? In genere sono persone di mezza età. Un filo di rabbia sul volto.
Sempre accigliati. Ce l’hanno con qualcuno. Forse è il tempo che passa. Le cose perdute. La paura.
I figli disoccupati. Le medicine che costano caro. La pensione che non basta.
E pensano che sia colpa di quel muso nero.
Potrei rispondere tante cose. Ma non me la sento.
Non ho voglia di litigare con chi ha un problema.
Farei con loro quello che loro fanno con gli immigrati. Scaricare la tensione sugli ultimi della fila.
Io ho imparato che quasi mai è colpa di chi è più debole.
E che, anzi, se ho una strada nel dolore, è quella di guardare negli occhi lo stesso dolore, e trovare così forza. Unione.
Ma sono discorsi complicati da fare sugli autobus, o sui treni.
Così mi tappo le orecchie e fingo di dormire.
Che me ne fotte dell’Italia reale se posso non ascoltare?
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