Ci sono cose che ci accompagnano da sempre, questioni di daimon, di codice dell’anima, di streppegna. Per me il lavoro preso di faccia è una di queste, anche se l’idea, come ho raccontato in Bella Napoli, la devo a mio padre. Sì, è grazie a lui, e a mia madre, che le sue rughe da casalinga se l’è guadagnate una a una, che per me il lavoro non è stato mai solo fatica ma anche dignità, onestà, rispetto. Già, il lavoro. “Il fischio che faceva papà quando tornava a casa la sera e io e mio fratello Antonio correvamo fuori per abbracciarlo e baciarlo”. La nenia che intonavamo nelle sere di pioggia, i nasi appiccicati alla finestra, i vetri opachi all’altezza della bocca e poi color acqua e anice e trasparenti poco più in alto, dove già con il respiro di bimbi non potevamo arrivare. Com’era? “Madonna nun ffa chiovere, che papà è gghiuto fore, è gghiuto cu ‘e scarrpe rotte e ‘a Madonna e Piererotta”. Altri tempi, certo, eppure il dado era tratto, il destino è destino, daimon chiama daimon, streppegna streppegna. Domandatelo ai miei figli che non hanno mai dimenticato l’angoscia che li assaliva quando la maestra, in terza, quarta elementare, assegnava il tema “descrivi il lavoro di tuo padre”. Poveri ragazzi, perché sì, a quei tempi facevo il sindacalista, e come fa un ragazzetto a spiegare quel lavoro lì, riunioni, contrattazioni, scioperi, manifestazioni e compagnia cantante. Comunque ben mi stava, ne avevo rifiutati almeno due di lavori più facili da raccontare, quello di professore e quello di dirigente di una grande industria.
È andata avanti così per quindici anni, fino a che un sindaco all’inizio bravo e per sempre egomaniaco non ha deciso che lui per fare il sindaco doveva avere amici suoi “fidati”, ma fidati fidati, in ogni posto della città, e che dunque io non ero adatto a fare il leader sindacale. Come si diceva allora, si dice ancora?, ho fatto la mia battaglia politica, altro che se l’ho fatta, l’ho persa, e sono finito a Roma, dove “pendolo” da diciotto anni.
No, non vi preoccupate che non sono triste e neanche dispiaciuto, perché io in questi anni ho fatto un sacco di cose interessanti, mi sono occupato di riforme istituzionali, ho diretto un’agenzia di formazione, per quasi dieci anni sono stato prof. a contratto all’università di Salerno, da sette anni lavoro in una bellissima fondazione, studio, scrivo, insomma faccio il lavoro che mi piace fare, e a cinquantotto anni ho scritto il mio primo romanzo, Testa, mani e cuore.
A proposito di lavoro che mi piace fare, da sociologo trattino prof. ho deciso di occuparmi di lavoro ben fatto, della voglia di fare normalmente bene le cose che devi fare, semplicemente perché è così che si fa, che poi è la versione intellettuale del lavoro preso di faccia.
L’idea ha preso forma a Tokyo, al Riken, dove sono arrivato nel 2007 per capire perché menti preparate che interagiscono in luoghi sociocognitivi serendipitosi producono scoperte e risultati particolarmente interessanti. Da lì per una serie di ragioni che se le racconto qui non la finiamo più ho pensato di raccontare Napoli, la mia città, raccontando la passione dei napoletani per il lavoro, la voglia e la capacità di farlo bene. Bella Napoli è nato così, e poi dopo è nata la collaborazione tra Fondazione Ahref e Fondazione Giuseppe Di Vittorio e Le vie del lavoro, narrazione e inchiesta partecipata sul lavoro ben fatto, alla quale se volete potete contribuire, sulla piattaforma Timu, sia nella sua versione originaria, sia nella versione dedicata ai giovani italiani che si fanno strada nel lavoro e nello studio in Italia e all’estero.
Poi è venuto l’incontro con Gennaro Cibelli, con Castel San Giorgio, con le tante facce del fare bene le cose, quella del maestro ebanista Antonio Zambrano prima di tutte, si è rivelato un altro tassello importante del progetto che Alessio Strazzullo e io stavamo portando avanti. Poi ancora sono venuti la metodologia, l’approccio, il TEDxNapoli, CNA Next e tante altre cose di cui potete trovare facilmente traccia in rete e sul blog Le vie del lavoro.
Il passaggio successivo è stato l’idea dei dieci, cento, mille Omero che a partire dal lavoro interpretano il loro tempo e per questa via danno ad esso un senso, lo condividono con gli altri, diventano parte di quella nuvola di narratori di cui ho raccontato nel saggio “Cloud Storytelling e Societing Organization” contenuto in “Societing Reloaded” il bel volume ideato e curato per Egea da Adam Arvidsson e Alex Giordano.
Ecco, poche righe e siamo arrivati a Testa, mani e cuore e La tela e il ciliegio, un romanzo e un film, che raccontano per l’appunto i sentimenti, le aspirazioni, l’approccio di chi lavora cercando di fare bene le cose perché è così che si fa.
L’ultima arrivata è l’anteprima nazionale de La Notte del Lavoro Narrato, il 17 luglio 2013, a Caselle in Pittari, nel Cilento, nell’ambito di una manifestazione bellissima, anzi due, Camp di Grano e Palio del Grano, come potete leggere nel bellissimo post di Rocco Benevento (lui ha voluto mettere anche la mia firma, in segno di affettuoso rispetto, ma è roba sua :), che secondo me vale davvero la pena non perdersela.
Ecco, secondo me come presentazione basta e avanza, vi aggiungo soltanto ancora un video, che magari vi va di vederlo, e magari di venire a Caselle.