E’ uno dei periodi più tragici per la Sicilia.
E’ un momento di grande sofferenza in cui ogni parola è superflua.
La fotografia è drammatica.
Aziende che chiudono lasciando per strada migliaia di lavoratrici e lavoratori; i redditi medi delle famiglie sono in caduta libera; i diritti del lavoro totalmente calpestati; il 60% dei giovani non ha un lavoro; migliaia di studenti che scivolano nella marginalità.
Una Regione che cresce quattro volte in meno rispetto al Nord Italia e non ha alcuna forma di welfare in grado di attutire sia la perdita dei posti di lavoro sia l’opportunità di trovarne uno.
Non ci sono investimenti.
Manca un progetto serio e definito di cambiamento.
Di fronte a tutto ciò la pseudo “rivoluzione” di Crocetta, in questi anni, ha fatto del posizionamento, dello “strategismo”, del puro tatticismo gli unici modi con cui misurare la sua azione politica.
Una “rivoluzione” che ha costruito percorsi solo sulla base della contingenza elettorale.
Ma d’altra parte cosa possiamo aspettarci da una classe dirigente incapace di ascoltare e di cogliere le istanze di un popolo che soffre in assoluto silenzio?
E mi riferisco a tutta la classe dirigente. Quella che è stata capace di farsi “bocciare” dal Commissario dello Stato l’80% degli articoli in Finanziaria, quella che non era presente all’Ars quando si votava per il ddl sull’impignorabilità della casa, quella che ha votato a favore delle trivellazioni nella nostra terra, quella che nei territori è lontana anni luce dai problemi dei cittadini.
Una classe dirigente che in numerosi Comuni dell’isola ha permesso la distruzione dei territori. Una classe dirigente che troppo spesso ha mascherato episodi di corruzione e di svendita totale dei loro stessi territori, creando stipendifici e instaurando rapporti clientelari e di dipendenza personale utilizzati per fare carriera politica.
E’ paradossale che ci sia voluta la magistratura per risolvere i numerosi “casi di corruzione” che dilagano nella nostra isola. La magistratura arriva sempre prima della politica. Come nel caso delle 1133 “Commissioni” di Agrigento, costate 300 mila euro, balzato agli onori delle cronache nazionali a seguito dei servizi di Ballarò e dell’Arena di Giletti.
Qui, per fortuna gli agrigentini sono scesi in piazza per manifestare il loro dissenso nei confronti di questa classe dirigente che ha lasciato l’intero territorio in una situazione di degrado assoluto.
In questo “deserto” abbiamo misurato la pesante assenza di una rappresentanza delle nostre istanze, la mancanza di una sperimentazione tra la dimensione sociale e politica: dalle battaglie sociali alla governance politica dei territori.
Il consenso è una cosa seria e si misura con la credibilità di quello che si dice, che è data dall’efficacia di quello che si fa.
Per questo è arrivato il momento di “rovesciare” questo sistema. Non è più tempo di aspettare. E’ tempo di agire.
Oggi abbiamo l’occasione, formidabile per cambiare, per ricreare l’entusiasmo e per stimolare l’orgoglio di chi vive in Sicilia.
Entusiasmo e orgoglio che devono crescere soprattutto in noi stessi.
Noi e tutti i siciliani che ci vogliono stare a fianco dobbiamo cambiare lo stato delle cose presenti, altrimenti davvero possiamo appendere il cartello “la Sicilia è fallita”.