Puglia, ora pranzo. In cucina con la famiglia seduta a tavola e la televisione sintonizzata sul Tg nazionale. Sto spadellando gli spaghetti cozze e vongole quando sento la notizia. È la terza, in ordine di importanza. “Corigliano calabro. La mamma di Fabiana telefona alla mamma del fidanzato che l’ha uccisa e chiede: Perché lo ha fatto?”.
Non posso quasi credere a quello che ho appena ascoltato. Che Paese è quello in cui vivo?
Eppure lo so… Un posto dove un ragazzino brucia viva la fidanzatina, proprio come nel Trecento bruciavano le streghe, e dove tg e giornali sono pronti a dare in pasto ai lupi una famiglia, un paese, una regione, un’anima innocente, in nome dell’audience, del diritto di cronaca, dell’opinione pubblica.
Accadrà in Calabria come è accaduto qui per Avetrana, dove siamo stati vivisezionati e sbattuti per due anni in tv, come se fossimo tutti ammazzatori di bambini.
E ora faranno scempio di una terra struggente e bellissima, che porto dentro il mio sangue con orgoglio. Diranno che gli uomini calabresi sono bestie, che ammazzano le donne e non le amano, che non le rispettano. E tutti pagheranno per uno solo.
Ho avuto come padre un uomo gentile, e veniva proprio da lì. Se oggi sono quella che sono, lo devo a lui, a quello che mi ha insegnato, alla libertà mentale a cui mi ha educata. Al bene che mi ha voluto.