Quando nel 1998 nacque Tiscali l’intento era quello di creare una grande azienda di innovazione che avesse radici, cuore e cervello nella mia terra, la Sardegna.
Una grande azienda che avesse come obiettivo uno sviluppo sostenibile, salvaguardando il territorio e utilizzando la più grande risorsa di cui dispone questo Paese, la conoscenza. Il sapere.
E se tredici fa, questa era solo la sfida di Tiscali – che nel lontano 1999 offrì l’accesso gratuito a internet, inventò il Netphone e altri servizi poi sviluppati da Google e Facebook – ora l’innovazione è diventata una questione nazionale.
Il tema centrale per lo sviluppo del Paese.
E il prezzo che l’Italia paga oggi per non aver capito per tempo che la conoscenza e l’innovazione erano l’unica strada da seguire per agganciare crescita e sviluppo economico, è sotto gli occhi di tutti.
Si chiama impoverimento, impoverimento del Paese.
Il drammatico processo di deindustrializzazione del nostro sistema economico è stato certo il frutto di scelte miopi e superficiali dei Governi nazionali, ma anche di una classe imprenditoriale innamorata solo della cementificazione dei territori e della finanza.
È mancato un piano di sviluppo dell’innovazione industriale.
La gabbia del conflitto d’interessi del potere berlusconiano – che da 20 anni favorisce il sistema analogico a danno di quello digitale – ha fatto il resto.
Per questo ora assistiamo impotenti, come seduti su un inesorabile piano inclinato, alla perdita dei lavori del passato senza riuscire ad agganciare i lavori del futuro.
Un esempio su tutti: Baidu, il principale motore di ricerca in lingua cinese (nato solo nel 2000) oggi dà lavoro a 35mila persone.
In Italia, in proporzione, stiamo perdendo 3mila posti di lavoro potenziali.
Un secondo dato: Google ha annunciato che nel 2015 fatturerà 2 miliardi di euro solo in Italia, raggiungerà quindi lo stesso livello proprio di Mediaset.
Si tratta di 2 miliardi guadagnati nel nostro Paese che potevano rimanere in Italia e invece sono andati all’estero.
Questo ci dovrebbe far riflettere su ciò che abbiamo perso e su quali sono le sfide che insieme dobbiamo vincere.
Ma senza commettere gli errori del passato.
L’Italia deve utilizzare la ricerca e i poli tecnologici di cui dispone per organizzare un’ecosistema dell’innovazione.
Nessuno, infatti, primeggerà a lungo da solo, fuori da un sistema di altre imprese, di università e ricerca, di un intero Paese. Credo anche che il mondo non possa più permettersi, in maniera acritica, una competizione sfrenata e ad ogni costo. È l’ora della condivisione, della crescita insieme.
Insieme, unendo sapere, capacità d’innovazione e coraggio supereremo la sfida di questo tempo.