Da qualche parte una porta sbatte. Vestiti di tante Mary svolazzano nel ballo sotto il castello di un luogo in Calabria che un tempo era Pietramala e oggi si chiama Cleto. Il dj set suona per 500 persone che di solito passano il loro tempo davanti ad uno schermo di varia dimensione. La scaletta mescola Talking Heads, Beatles e “Se telefonando” agitando un sabba postmoderno molto divertito. Alle 3,30 qualcuno porta pane caldo del forno da affettare e condire con olio e pomodoro per quella piccola moltitudine che per tre giorni si è’ insediata in questo piccolo nido arroccato sul mare e che guarda dall’altra parte sulla campagna del Savuto. Anche qui, un gruppo di giovani, ha preso il proprio destino in mano e da cinque anni il festival di Cleto propone cletomania con dibattiti, musiche,poesie, commercio equo solidale autoctono a gastronomia a chilometro zero. Anche Cleto paese dell’Osso meridionale ha trovato un’associazione, La Piazza (“nome omen”)che raggruppa persone distanti dal dissuasore militante di paese. Anche qui, come in tanti posti del Sud non calcolati dalle statistiche, è nato un festival che ha seminato quel germe mai domo del poter prendere il proprio destino in mano e condividerlo con altri abitanti culturali temporanei.
Nel punto più’ alto del paese, dove per il resto dell’anno vivono 35 persone ci si affolla e ci si conosce per capire come si può invertire la tendenza dello spopolamento e dell’abbandono di quelle patrie che nessuno mai dimentica. Salvini in questo contesto è figurina da prendere in giro. Al Festival di Cleto Matera 2019 invece e’ vista come il punto strategico del Meridione che deve cambiare. Troppo idealizzato il risultato visto da lontano ma sicuramente la Basilicata assume un ruolo propulsivo per il Sud (tema del festival di Cleto). I cerchi concentrici che da Matera s’irradiano alle regioni circostanti erano ben disegnati nel Dossier di candidatura. Qui a Cleto hanno organizzato anche una mostra sui lavori di grafica di Bubbico e hanno voluto ascoltare le vibrazioni del suono di un’arpa lucana.
C’è un’Italia altra alimentata da nodi della Rete e da passioni che si pensavano sopite e invece continuano a cercare nuovi modelli di sviluppo, crescita o decrescita, partecipazione e benecomunismo postmoderno che vuole credere nelle potenzialità di luoghi altri distanti dalle aree metropolitane. Sono le lune e i calanchi delle nuove paesologie militanti, le aggregazioni di un’industria culturale ancora sghemba e in fase costituente che cerca di supplire agli affanni della politica e che cerca di cambiare lo stato delle cose. Cercare, cercare, e ancora cercare. Da Pisticci a Melpignano, da Berchidda a Favignana l’hashtag e’ #luogoideale come propone Sergio Ragone.
C’è bisogno di entrare nelle istituzioni per modificare lo stato reale delle cose. Non ci sono ricette a fronte di un mondo complesso che ci fa osservare in modo passivo le migliaia di persone che affogano nei mari e che stanno dando vita ad un esodo di proporzioni bibliche inarrestabile alimentato da guerre di religioni e orrori di ogni sorta. Roma che diventa narrazione mafiosa da film alla Francis Ford Coppola è il simulacro di una deriva simbolica che tutto confonde e assolve. Solo la Chiesa di Bergoglio e’ una delle rare istituzioni che si mette in discussione proponendo la forza dei valori. Non saranno dei parroci pavidi e dei vescovi grassi ad interrompere questa rivoluzione.
E nelle sinistre orfane e nelle destre spurie gli individui e i le piccole aggregazioni si abbarbicano ai loro sogni e desideri.
Per questo motivo “Thunder Road” e l’album “Born to run” 4 decenni dopo nfiammano ancora il cuore. Come quando eravamo giovinetti. Diamoci ancora fiducia, e alimentiamo la magia di queste notti estive che sembrano non finire mai. Non nascondiamoci sotto le coperte, non rimuginiamo i nostri dolori. Noi le rose le disperdiamo nella pioggia unendole al pane e non gettandole dall’elicottero come gli stanziali Casamonica negazione degli zingari felici di lolliana memoria. Siamo ancora pronti ad abbassare il vetro del finestrino per sentire il vento che tira indietro i capelli. Se sono diventati grigi o bianchi non è un problema ma una ricchezza.
I sogni non muoiono all’alba. Non è’ un invito alla corsa ma a vivere degnamente istante per istante come dice il mio amico Fiorenzo Pantusa.
Cerchiamo la Mary della canzone del Boss nel nostro animo per non farci calpestare. E forse, finalmente impareremo a vincere. Come gli amici di Cleto che ogni anno riescono a riempire per tre giorni il loro paese di persone e contenuti. Fratelli di tutti coloro che difendano e valorizzano la quercia dove hanno giocato da bambini.
Buona domenica amici. Godetevi l’estate. Prepariamoci a sfidare le stagioni che stanno per arrivare.
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