Trovo anomalo che un politico e individuo delle istituzioni, di grande esperienza, come Rosy Bindi, pronunci parole precluse anche ad un illustre accademico.
Che la camorra è nel dna della città di Napoli e della regione Campania, è un’affermazione di perentorietà in una materia talmente complessa, cui non basterebbero anni di simposi, per arrivare a tale netta affermazione.
E’ una lunga storia che parte dallo spirito degli Aragonesi, per tramutarsi in comportamento di una classe sociale emarginata, che ne fraintende i contenuti e costruisce un suo codice.
Poi tutto ciò, si afferma nel periodo borbonico, creando figure intermedie tra lo stato e una parte della società, sempre ai margini.
Il concetto si rimodula, per codificarsi e vivere un secolo tra il pittoresco e la sopraffazione, sin quando il boom economico degli anni ’60 ne costruisce un humus tipicamente delinquenziale.
Con l’avvento del traffico di droga, come ogni mafia in ogni parte del globo, anche la camorra diviene altro, di temibile e terribile.
Credo che la Bindi, persona che stimo, sia in errore, perché ho capito nel mio percorso storico sul Sud, che necessita una vita di studi per capire la difficoltà di percepire il dna della città partenopea.
La camorra è marginalità dello spirito di Napoli e della Campania.
E’ una sfaccettatura tipica delle distonie della storia del Sud.
Dove negli Appennini, dal 1500, esistevano i brigantaggi e nelle città, uomini di zona grigia, utili alle classi dirigenti. Ma a volte esiziali, come nelle rivoluzioni.
Onorevole Bindi, spesso la seguo perché la sua fase dialettica è tipica di persona che crede in se’. Un buon viatico per il principio di autodeterminazione dell’individuo.
Ma la sua frase sul dna e Napoli, merita un suo approfondimento.
E’ il consiglio di uno studioso.
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