di Oscar Buonamano
La partita di calcio Foggia-Paganese, del campionato di serie C, ha registrato la millesima partita su una panchina del campionato italiano di Zdeněk Zeman. Un traguardo prestigioso che solo pochi allenatori riescono a raggiungere.
Un traguardo vissuto dal tecnico venuto da Praga con un distacco dalle cose terrene che è pari solo all’affetto che (quasi) tutti gli appassionati di calcio gli manifestano su (quasi) tutti i campi di calcio.
E questo è il primo aspetto che vorrei affrontare.
In (quasi) tutte le trasferte il tecnico del 4-3-3 viene premiato dai presidenti delle squadre avversarie. Gli stessi tifosi delle squadre avversarie gli tributano applausi e striscioni di ringraziamento.
Due tifoserie rivali come quelle di Roma e Lazio, Zeman ha allenato entrambe le squadre della capitale d’Italia, sono unite nell’applauso al «muto», il nomignolo con cui lo chiamano gli amici più cari.
Perché accade tutto ciò? E perché accade solo a lui e a pochissimi altri allenatori?
La risposta è semplice: perché è una persona vera e perché le sue squadre fanno divertire i tifosi.
Il secondo aspetto che vorrei affrontare è proprio il divertimento del pubblico.
«Non è vero che non mi piace vincere: mi piace vincere rispettando le regole» è una delle frasi più citate di Zeman. Questo concetto unito a «il calcio è gioia, i tifosi meritano gol e spettacolo», fa di lui un personaggio unico nel mondo del calcio. Il risultato è importante, ma si deve raggiungere attraverso il bel gioco e i gol. Tanti gol, sempre uno in più dell’avversario quando invece è luogo comune, soprattutto in Italia, asserire il contrario.
A Zeman non importa lui va dritto per la sua strada che è molto semplice e lineare, cercare sempre la via del gol. Come? Con il suo modulo, il suo unico modulo, il celeberrimo 4-3-3
Quattro difensori, tre centrocampisti e tre attaccanti.
Il gioco delle sue squadre si sviluppa prevalentemente sulle corsie esterne, le famose catene zemaniane. La catena di destra e quella di sinistra. L’esterno basso (prima dell’avvento della zona si chiamava terzino), il centrocampista che si muove sulla stessa fascia e l’esterno alto. Questo avviene sia a destra che a sinistra. In alternativa c’è una verticalizzazione del gioco che fa leva sui due centrocampisti che giocano di fianco al regista basso. Quando ha a disposizione un portiere bravo con i piedi, come è stato Franco Mancini, la rimessa lunga del portiere sull’attaccante a ribaltare, immediatamente, l’azione.
Una preparazione fisica che cura personalmente e una dieta ferrea durante il ritiro precampionato.
Tutto qua. È così da 1000 partite, eppure continua a stupire.
Il suo calcio esprime un’idea felice della vita. È propositivo. Non aspetta, attacca.
Questo piace al pubblico. Questo piace anche ai suoi calciatori che si esaltano soprattutto quando, tra febbraio e aprile, corrono ad una velocità doppia rispetto agli avversari.
Alla sua rigorosa applicazione delle regole e all’idiosincrasia verso chiunque non le rispetti si deve la legge antidoping italiana.
Quando disse fuori il calcio dalle farmacie sollevò un polverone che ha fatto storia. Grazie a questa sua, solitaria, battaglia, il 14 dicembre del 2000 l’Italia si dotò della Legge n° 376, Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping.
La pubblicistica ha raccontato sia stato questo il motivo per cui la sua brillante carriera in ascesa fu fermata sul più bello, io penso non sia solo per questo. Penso che questa sia solo una concausa.
Il vero motivo per cui fu osteggiato e la sua carriera spezzata sul più bello è un altro.
Dimostrò con Zemanlandia, il Foggia del 1989-1994, insieme al direttore sportivo Peppino Pavone, che si poteva fare grande calcio anche in provincia e senza le intermediazioni milionarie dei procuratori dei singoli calciatori.
Zemanlandia costò pochissimo e quando dopo il primo anno di serie A furono venduti tutti i calciatori di quella meravigliosa squadra, ad eccezione di Franco Mancini e pochi altri, furono acquistati calciatori dalle serie minori che costarono pochissimo. Quell’esperienza fece capire a tutti che non era necessario spendere molti milioni per costruire grandi squadre.
Questo è il vero motivo per cui fu messo al bando: aveva indicato una strada nuova che avrebbe impedito il fallimento di tante società e l’arricchimento improvviso di tanti.
Penso che i tifosi di (quasi) tutte le squadre lo amino anche per questa ragione.
Auguri Sdengo. Auguri belli, bellissimi e grazie per tutta la bellezza che ci, mi, hai regalato.