Nient’altro che la verità. Il titolo dell’ultima opera letteraria di Michele Santoro non è soltanto la frase di rito che si deve pronunciare in tribunale di fronte ai giudici, per offrire la propria testimonianza. E’ la speranza di fare finalmente chiarezza sulla stagione delle stragi di mafia, tre anni orribili che dal 1991 al 1993 corrono in parallelo con la dissoluzione della Prima Repubblica. Quella chiarezza che ancora oggi è un dovere per le vittime di mafia e i loro familiari, un obbligo per lo Stato, una necessità per la redenzione del Mezzogiorno d’Italia. Quattrocento pagine scritte con passione e qualità di scrittura rara, per la firma di un giornalista che tutti abbiamo imparato a conoscere sul piccolo schermo. In realtà, i personaggi di questo saggio sono due. Maurizio Avola, killer di Cosa Nostra della famiglia catanese dei Santapaola e lo stesso Santoro. Lo scrittore opera un viaggio a ritroso nel tempo per i due personaggi, quasi a volerci fare immaginare l’ineluttabilità del proprio destino. Mafia e antimafia che si guardano allo specchio.
Santoro ha presentato il libro nel corso della puntata di Casa Minutella. Il talk show condotto da Massimo Minutella. A far da contraltare alla tesi esposta nel libro ci ha pensato Enrico Bellavia, giornalista dell’Espresso ed autore di numerosi (e pregevoli) saggi di analisi e ricostruzione del fenomeno mafioso. Sono state subito scintille. Si sono scontrate due visioni della lotta alla mafia che in realtà, pur avendo il medesimo obiettivo (la sconfitta di quel sistema criminale) interpretano il fenomeno da due angolazioni diverse. Impossibile stabilire quale delle due rappresenti la verità assoluta. Per il semplice fatto che di verità definitive sulla stagioni delle Stragi non ne esistono ancora.
L’oggetto del contendere tra Santoro e Bellavia è stato soprattutto la ricostruzione offerta da Avola rispetto ai preparativi della strage di via d’Amelio, quando il 19 luglio del 1992 vennero uccisi il magistrato Paolo Borsellino e la sua scorta. Nella ricostruzione fornita a Santoro, Avola sostiene di aver partecipato alla fase di preparazione della Fiat 126 utilizzata per uccidere il giudice. In alcuni dettagli, la versione di Avola sembra confliggere con quella fornita ai magistrati da Gaspare Spatuzza, il pentito che ha consentito di illuminare parecchi coni d’ombra di quell’attentato, dando un contributo deciso a disvelare il depistaggio del falso pentito Vincenzo Scarantino. Si tratta di materiale estremamente tecnico, di difficile comprensione per il cittadino comune. Eppure quel dettaglio, complesso e denso, è il motivo che ha fatto scatenare innumerevoli polemiche attorno al saggio di Santoro. La tesi di chi contesta l’opera è che con quelle rivelazioni, Avola avrebbe escluso la partecipazione dei servizi segreti deviati alla Strage di via d’Amelio.
Per completezza di cronaca, va sottolineato che il racconto di Maurizio Avola è stato stroncato da Claudio Fava, giornalista e scrittore, ma soprattutto oggi presidente della Commissione Antimafia dell’Assemblea regionale siciliana. In un articolo pubblicato sul Domani, Fava scrive che Avola è uno che “racconta palle”: “Se lo faccia perché imbeccato da altri o solo per noia, non so. So che da anni, dopo aver offerto al mondo l’elenco ossessivo e compiaciuto dei suoi ammazzati (con la sega, con la pistola, con la garrota, quanti rantoli prima di crepare, quanti si pisciavano addosso, quanti piangevano, pregavano, vomitavano), s’è reso conto che non aveva più nulla da raccontare. La sua pornografia del male s’era consumata con quegli ottanta omicidi, qualcosa occorreva aggiungere per non restare solo con i propri fantasmi”.
Ma torniamo alle polemiche di Casa Minutella. Una battuta di Santoro nel corso di Casa Minutella sottolinea la tensione. Dialogando con Enrico Bellavia, Santoro replica che se continuiamo a seguire le piste di “faccia da mostro e della donna cannone” non si arriva da nessuna parte. Un chiaro riferimento all’ex agente dei servizi segreti Giovanni Aiello, chiamato con quel soprannome per una ferita al volto causata da un’arma da fuoco. Su questo punto, poi, va anche detto che la contesa si sposterà a breve sugli scaffali delle librerie. Al “Nient’altro che la verità” di Santoro, si contrappone infatti il recentissimo saggio realizzato dal vicedirettore dell’Espresso, Lirio Abbate. Il titolo spiega tutto: Faccia di Mostro. Nel saggio, Abbate indica un ruolo attivo nelle stragi non solo di Giovanni Aiello ma anche di una donna misteriosa, sempre legata alla parte oscura dell’intelligence, che avrebbe operato sulla scena delle stragi mafiose di quel periodo. Sono loro i “faccia da mostro e la donna cannone” di cui parla Santoro? C’ è da scommettere di sì. Santoro, poi, spiega chiaramente che il racconto di Avola non confligge con quello di Spatuzza e quindi non esclude la partecipazione “deviata” alla programmazione ed all’esecuzione di quella strategia stragista. Solo che Santoro non crede a una tesi di una Cosa Nostra esclusivamente eterodiretta, ma la immagina, in quel periodo storico, come una struttura forte e coesa realmente capace di fare la guerra allo Stato. Con il supporto della Cosa Nostra americana, a rimarcare l’unitarietà di quella matrice criminale.
In realtà, proprio su questo tema, sempre nel corso del confronto con Bellavia, il giornalista famoso per le sue trasmissioni tv, spiega i danni di questa contrapposizione sui dettagli. Dice, che negli anni novanta la lotta alla mafia era la lotta della società contro la tirannia della mafia sul territorio. La lotta alla mafia, continua, era la protesta dei lenzuoli bianchi appesi dai balconi delle case dei palermitani, mentre oggi è ridotta a una disputa tecnica tra professionisti dell’antimafia, senza voler necessariamente scomodare Leonardo Sciascia.
Ed oggi che succede? Su questo tema Bellavia e Santoro trovano concordia. La loro voce, all’unisono, è un appello a non sottovalutare la forza economica dei sistemi criminali. In tempi di pandemia, con l’economia in ginocchio, le risorse a disposizione delle mafie italiane rischiano di inquinare il tessuto economico e imprenditoriale del paese, messo a dura prova dalla crisi. Soltanto una tesi suggestiva? Purtroppo no. Oltre a leggere i libri di Abbate e Santoro (in ordine alfabetico), resta un altro piccolo suggerimento. Guardate nell’ultima puntata di Report il servizio realizzato da Paolo Mondani. E ascoltate una, dieci e cento volte le parole conclusive dalla voce del magistrato Alfonso Sabella. Vengono i brividi.