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Totò e il funerale-bis alla Sanità
13 Apr 2017 08:00

“O principe adda turnà ‘a casa sua”. Luigi Campoluongo aveva molto a cuore che, alla sua morte, Totò avesse un funerale alla Sanità, il quartiere dove il comico era nato e vissuto da piccolo con la madre. Campoluongo era “Naso ‘e cane”, un mobiliere del quartiere diventato negli anni un sovrano della zona dai modi spicci e violenti. Un guappo, sopravvissuto alla tempesta del processo Cuocolo, cui si rivolgevano in tanti per favori, mediazioni, interventi. Un guappo diventato ammiratore e conoscente di Totò.

Un mese dopo i funerali del 17 aprile del 1967, si doveva assolutamente fare un bis alla Sanità. Campoluongo era stato il vero animatore della festa del Monacone, quella organizzata in onore di San Vincenzo Ferreri, il santo del quartiere tra i 54 patroni di Napoli. Un’autorità a cui la chiesa non poteva dire di no. Ma Campoluongo era morto un anno prima di Totò. E il 22 maggio 1967, la cerimonia si fece anche in sua memoria, per volontà di chi gli era stato vicino. Gli uomini di Naso ‘e cane ottennero alla Sanità anche la presenza di Liliana De Curtis, la figlia di Totò.

La bara era vuota, ma fu portata a spalla dai giovanotti di Campoluongo. C’era tanta gente, quella della Sanità che non aveva potuto partecipare alla cerimonia del 17 aprile nella Basilica del Carmine maggiore. C’era Liliana, c’erano i familiari di Campoluongo. La chiesa si aprì a quella bara simbolica. Totò tornava idealmente alla Sanità, come aveva voluto Naso ‘e cane.

Campoluongo era un guappo di vecchio stampo, lontano dai gruppi di camorra che si erano ricostituiti nel secondo dopoguerra. Amava la Sanità e a lui si ispirò Eduardo De Filippo nella sua celebre commedia, riportata in scena in queste settimane da Mario Martone. Lo ammise proprio Eduardo, intervistato dal suo biografo Maurizio Giammusso: “Il modello del mio Antonio Barracano si chiamava Campoluongo. Teneva il quartiere in ordine. Venivano da lui a chiedere pareri su come dovevano comporre le vertenze”.

Ricordai questo e altro già nella prima edizione della “Camorra e le sue storie”. Campoluongo meritò il suo singolare soprannome perchè un altro guappo, Michele Aria, gli strappò il naso a morsi. Aria avrebbe fatto una brutta fine: emigrato in America, si scontrò con i siciliani e venne ucciso. Barracano, proprio come il personaggio eduardiano, si chiamava un altro camorrista dell’epoca: Giuseppe Barracano, pure lui ucciso negli Stati Uniti. Nella commedia, Barracano racconta di essere stato in America, mentre era Michele Aria che amava mangiare il pane inzuppato nel latte di capra come il personaggio di Eduardo.

L’arte ispirata alla realtà. Trasfigurazione del reale, come sempre. Eduardo De Filippo leggeva i giornali dell’epoca e fece un mix tra guappi e camorristi vissuti nel periodo fascista. Ma a Campoluongo, che amava frequentare artisti e personaggi famosi che invitava alla festa del Monacone, andavano le maggiori simpatie. Era sostenitore del sindaco Achille Lauro e così lo ricordò la figlia Luisa, che gestiva un negozio di abbigliamento in via Settembrini: “La sua forza era basata sul suo modo di vedere la giustizia, ogni caso che esaminava dava sempre ragione a chi lui credeva avesse ragione”. È davvero la commedia di Eduardo.

 
Dal blog de www.ilmattino.it

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