E’ mia intenzione ringraziare i giornalisti, soprattutto quelli che con correttezza e professionalità raccontano ogni giorno di mafia, di Cosa nostra. A loro voglio dimostrare affetto e stima, perchè operando in una terra di frontiera qual è la Sicilia, la Calabria e la Campania, non esitano a dimostrare coraggio e perseveranza nel denunciare fatti e misfatti commessi da mafiosi e dai loro accoliti travestiti con abiti istituzionali. Loro – i giornalisti – hanno la forza di “arruspigghiare u cani ca duormi (svegliare il cane che dorme) e lo hanno ampiamente dimostrato e continueranno a farlo.
In questi giorni Attilio Bolzoni, nel raccontare ottimamente nel giornale La Repubblica, oltre 10 anni di Cosa nostra, ha detto d’essere intervenuto sul luogo ove è stato ammazzato Pio La Torre e il suo autista. Anch’io ero lì, accanto a Chinnici, Cassarà e Falcone e mentre Bolzoni era armato di taccuino e penna, io invece, avevo una Beretta calibro 9, un paio di manette, una vecchia sconquassata Alfa/sud e tanta volontà di sconfiggere la mafia. Niente di più. Lo Stato, nella persona dell’Alto commissario per la lotta alla mafia, seppure da me e Cassarà invitato a fornirci mezzi appropriati, ci ha risposto “Arrangiatevi”. E, intanto Palermo diventava sempre più zona franca di Riina e company.
Attilio Bolzoni, Salvo Palazzolo, Giuseppe Lo Bianco, Nicola Biondo, Andrea Cottone, Marilena Natale e tanti altri giornalisti, hanno avuto ed hanno il coraggio di “isare” (alzare) la coperta che ammantava d’ipocrisia la mafia, l’antimafia di facciata e l’imbelle Stato. Diciamolo con forza se non fosse stato per il giornalismo investigativo, sensibile alle tematiche della legalità e soprattutto privo di “lecchinaggio”, noi non avremmo saputo quel che oggi tutti conoscono. Per fare un esempio, il furto dell’Agenda Rossa di Paolo Borsellino, sarebbe rimasto nell’ombra. In buona sostanza, gli amici giornalisti che “cuntano” (raccontano) fatti di Cosa nostra, di Camorra e ‘Ndreghata degli Eroi, ma, degli Eroi umani che svolgono la loro opera nell’interessa della collettività.
E’ a seguito di denunce quotidiane che la professione giornalistica, alla pari di poliziotti e magistrati, ha pagato un alto tributo di vittime innocenti. Ma, spesso a qualcuno fa comodo dimenticarlo, soprattutto ai tanti soloni dell’informazione, lapalissianamente zerbini e proni verso gli ambulacri del potere e del padrone di turno.
In un passato non tanto remoto, ho letto sui giornali l’ipotesi che la Polizia palermitana, negli anni della mattanza voluta dai “corleonesi” di Riina, ovvero il periodo intercorrente tra l’80 e le stragi del 92/93, non fosse la sola ad operare nel territorio siciliano. Ma che vi fosse una struttura parallela riconducibile ai “servizi”.
Alcune ipotesi investigative, in effetti, lasciano immaginare che quest’ultima struttura, sia corresponsabile del mancato attentato all’Addaura, contro il giudice Giovanni Falcone e dell’assassinio degli agenti Piazza, D’Agostino e di sua moglie. Io, non sono mai venuto in possesso di elementi utili a riguardo e comunque se li avessi avuti non avrei perso un solo istante a redigere rapporto alla magistratura. Tuttavia, per i fatti evidenziati, ho conosciuto personalmente, gli attori che s’intersecano sia all’Addaura che nel triplice omicidio, e cioè Bruno Contrada, Guido Paolilli (era nella mia stessa Sezione, prima che io transitassi in quella di Cassarà).
Invero, nonostante la condanna dell’ex dirigente della Mobile, Ignazio D’Antone, la Squadra mobile di Palermo ha posto in essere azioni concrete nel contrasto a Cosa nostra, tant’è che per tale incondizionato impegno, uomini come Boris Giuliano, Zucchetto, Cassarà, Montana, Antiochia e Mondo, sono stati assassinati da Cosa nostra.
Ebbene, quello che sto per dire potrebbe essere indigesto, ma non importa. Sia io, Montana e Cassarà abbiamo tanto riflettuto sui vani tentativi di arrestare i mafiosi latitanti nei rispettivi covi. C’era sempre qualcosa di anormale nei nostri interventi, ovverosia, avevamo l’impressione che fossero stati avvisati, talchè era inspiegabile trovare le case vuote, mentre i resti di cibi e vivande erano ancora caldi e talvolta con sigarette ancora accese. Come quel blitz compiuto all’alba per catturare Pino Greco “scarpuzzedda”, andato a vuoto nonostante il “letto” risultasse ancora caldo. E si badi che siamo arrivati nell’agro di Ciaculli, senza scruscio e batteria, in silenzio assoluto. Eppure, “scarpuzzedda” non c’era, si era volatizzato.
C’era un’altra struttura, come scrivono i giornali, oltre alla Squadra mobile palermitana?
L’attività d’intelligence della Polizia e dei “servizi”, come ipotizzato da inchieste giornalistiche, avevano davvero la stessa finalità? O, il confine delle due entità investigative risultava di difficile collocazione, atteso il duplice ruolo dell’agente Catullo, stipendiato dal Sisde e nel frattempo Dirigente della Mobile palermitana? E chi erano o chi sono gli altri “Catullo”?
La chiave di lettura di oltre 20 anni di gestione investigativa a Palermo, sta tutta qui.