Se dovessi spiegare a un adolescente cos’è il Giorno della Memoria e perché, soprattutto nei tempi che stiamo vivendo, questa giornata ci viene incontro piena di significato, forse partirei dal concetto di gentilezza.
E dalle storie dei miei nonni, che ogni volta mi richiamano alla mente quegli anni densi di fermento in cui il fascismo prese sempre più forza. Ricordo che i miei nonni ammiravano il Duce. Più volte ho sentito affacciarsi sulle loro labbra e, perché no, dal profondo dei loro cuori la frase: “Noi a Mussolini volevamo un gran bene!” Eppure, scriveva Giorgio Bassani, “Che sa il cuore?”
A dire il vero, qualcuno che in famiglia rompesse gli schemi c’era. Mia nonna materna Colomba, ad esempio. Si racconta ancora di un suo celebre atto di coraggio: era solo una bimba quando alle scuole elementari omaggiate dalla visita di una rappresentanza del Duce, la maestra aveva spiegato ai suoi alunni che alla subdola domanda del gerarca: “E tu a chi vuoi bene?”, per non sbagliare avrebbero dovuto rispondere con fermezza: “A Mussolini!” Quando arrivò il suo turno, “E tu a chi vuoi bene?”, mia nonna rispose senza indugi: “A mamma e a papà!”.
Il mio cognome ebreo deriva dal versante paterno, da mio nonno Pietro Venezia. Purtroppo ho saputo solo molti anni dopo la sua morte che, in quell’evo feroce che furono gli anni dal ’39 al ’43, e cioè da quando la discriminazione si trasformò in persecuzione, lui, Pietro, in una sera in cui tornava dal lavoro fu atteso sotto casa dagli squadristi, che lo avrebbero picchiato e costretto a bere l’olio di ricino.
Cosa c’entra la gentilezza? E perché dovremmo celebrare il Giorno della Memoria? Intanto, perché la gentilezza è una disposizione che ispira l’animo a compiere grandi cose. I miei nonni erano persone gentili. Pur avendo vissuto un’esistenza difficile, hanno saputo conservare una saggezza che oggi non esiste quasi più. Ed è per questo che tutti-poiché ognuno di noi può e deve sentirsi ‘ebreo’-dovremmo onorare le vittime dell’Olocausto. Viviamo tempi bui, in cui l’odio ha assunto nuove e inquietanti sembianze. Ma si sa che qualsiasi tipo di discriminazione “può essere l’inizio del lager”, diceva Primo Levi.
La gentilezza è una grazia che certe persone, abitate da un angelo, non devono neanche sforzarsi di praticare. La memoria ha istruito questi individui ad essere gentili, là dove il ricordo del dolore, della discriminazione, della solitudine oscura come il vento di bora più scuro, ha insegnato loro che una ferita guarisce, ma l’aver ricevuto una ferita non passa mai.
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