Nascere e crescere in una periferia, in una famiglia nella quale ci sono problemi relazionali tra i genitori o economici e, più in generale, in contesti socio-culturali degradati, pur non essendoci alcuna relazione empirica a confermarlo, può spingere molti minori a conoscere l’esperienza sia della devianza sia, nei casi peggiori, della micro-macro delinquenza.
E se le agenzie educative principali, quali appunto la famiglia e la scuola, oggi attraversano una profonda crisi morale e di identità, riflettendo in piccolo quella che a livello macroscopico frequenta la nostra società, a subirne le conseguenze sono proprio gli adolescenti.
Coloro che, invece, avrebbero più bisogno di essere sostenuti nel loro processo di formazione e protetti da validi punti di riferimento. È questa la cornice che accoglie la fotografia sull’universo dell’adolescenza scattata, con estrema cura e abilità, dalla stagista presso il Tribunale dei Minori di Bari Emanuela Lovreglio, con il suo libro “Fratelli monelli. Alle radici della criminalità minorile” (Di Marsico Libri) che ho presentato qualche giorno fa nel circolo Arci di Valenzano.
Muovendo dai dati recentemente pubblicati da Save the Children sulla povertà degli under 18 – la Puglia, per esempio, supera di quasi 10 punti la percentuale italiana di minori in condizione di povertà relativa: il 27,2% rispetto ad una media nazionale del 18% – e sulla dispersione scolastica – in Puglia siamo oltre il 25% – la conversazione si è rivelata ben presto molto interessante, stimolando poi un vivace dibattito e confronto con gli intervenuti.
I ragazzi, infatti, non nascono deviati o delinquenti, ma lo diventano. E nel loro processo di formazione è fondamentale, perciò, il ruolo della famiglia. Si legge, infatti, nel libro che la famiglia “costituisce il fattore principale di prevenzione o genesi della devianza e della criminalità minorile collocandosi quale principale filtro tra il minorenne e la società” con il giovane che, “pur desiderando diventare quanto prima autonomo, percepisce di non essere in grado di autogestirsi”, sviluppandosi in lui “sentimenti di ambivalenza sia verso i genitori che verso sé stesso”.
La scuola che potrebbe e dovrebbe, pertanto, fortificare il sistema immunitario dei cittadini di domani accompagnandoli sul sentiero della legalità e della convivenza democratica, oggi, anche per i problemi strutturali dell’istituzione, assume un atteggiamento selettivo perché “basata sulla trasmissione unilaterale di messaggi più che sul dialogo educativo” provocando inesorabilmente “l’allontanamento e il conseguente abbandono della scuola da parte degli alunni difficili”.
Per coloro che iniziano a delinquere, quindi, rispetto al passato, la “risposta istituzionale al fenomeno della devianza minorile ha sempre più privilegiato il principio della centralità della prevenzione con il conseguente superamento della detenzione prima pena”: ossia è stato verificato che ad oggi il principale strumento capace di “coniugare aspetti sanzionatori ed aspetti educativi, e dove anche l’intervento dei servizi della giustizia minorile appare più qualificato, è la sospensione del processo con messa alla prova”.