Qualcosa si muove sulla grande bomba ambientale innescata da almeno dieci anni alle porte di Napoli. Parliamo delle eco-balle, le piramidi di spazzatura che con i loro veleni e il loro percolato di eco non hanno praticamente nulla, sono cresciute a dismisura. Dietro i grandi teloni azzurri che nascondono montagne di rifiuti nella piana di Taverna del Re, a Giugliano, una delle aree più fertili della regione, ci sono fra i 6 e i 7 milioni di metri cubi di monnezza. Ad agosto, dopo anni di polemiche, scontri politici e battaglia a colpi di carte bollate, la Regione ha deciso ed ha fatto partire il bando: le eco-balle saranno bruciate in un termovalorizzatore ad hoc che sarà realizzato proprio a Giugliano. Spesa prevista, 450 milioni di euro. Sui tempi, naturalmente, nessuno si sbilancia ma ci vorranno almeno 3 anni da quando l’impresa che si aggiudicherà l’appalto sistemerà la prima pietra. Ce lo chiede l’Europa, fanno sapere i vertici dell’amministrazione campana, che devono sempre fare i conti con la spada di Damocle della maxi-multa che Bruxelles minaccia di infliggere all’Italia un mese sì e l’altro pure. Ma, il cammino del nuovo inceneritore non si presenta né semplice né veloce.
La notizia ha già mandato in fibrillazione i cittadini di Giugliano e le associazioni ambientaliste. Sono stati perfino ricevuti da Papa Francesco che ha ricevuto in dono un maglietta con il logo “no-inceneritore”. Qualche settimana fa, nella cittadina a Nord di Napoli che comprende quasi duecentomila persone, sono comparsi manifesti a lutto. A morire, però, non era una persona ma l’intera città, colpita a morte dal nuovo inceneritore. Veleni su veleni in un’area dove, secondo le confessione del boss pentito, Raffaele Schiavone, la camorra ha seppellito per anni i rifiuti industriali provenienti dal Nord. Un business agghiacciante, denunciato anche da Saviano in Gomorra e che farà sentire i suoi effetti su molte generazioni. Ma non ci sono solo gli ambientalisti a nutrire i dubbi. Franco Ortolani, geologo all’Università Federico II, ha già spiegato che un inceneritore a Giugliano non darebbe alcuna garanzia circa il suo impatto ambientale, dal momento che sorgerebbe su terreni fertilissimi che non si possono impermeabilizzare. Senza considerare, aggiunge ancora l’esperto, che i veleni bruciati dall’inceneritore via potrebbero viaggiare per chilometri, arrivando anche a Capodichino.
Ma, allora? L’alternativa all’inceneritore sarebbe quella del riciclo del materiale. Almeno la metà delle ecoballe è composta di materiale che potrebbe essere recuperato attraverso un’attività di differenziazione dei rifiuti. Certo, sarebbe una soluzione più costosa e forse anche più lunga. Ma, a ben guardare, bruciare le ecoballe può diventare economico solo grazie ai contributi del Cip6, quelli che paghiamo ogni mese con le nostre bollette e che, in realtà, dovrebbero finanziare solo le energie rinnovabili. Niente a che vedere, insomma, con quello che si sta pensando di realizzare a Giugliano. Nel frattempo, il conto delle ecoballe diventa sempre più salato. Dal 2006 ad oggi, solo per il fitto, i contribuenti campani (che hanno la Tarsu più alta d’Europa) hanno già versato circa 10 milioni di euro. Senza contare, ovviamente, il danno incalcolabile fatto da uno dei territori che un tempo era famoso per l’asprinio e le mele annurche, oltre che per essere il secondo mercato ortofrutticolo italiano.
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