Ecco i dati del Pil dell’ultimo trimestre 2015: l’Italia cresce (si fa per dire) dello 0,1%. Il che porta a un incremento del Prodotto interno lordo per tutti il 2015 pari allo 0,6%.
In pratica, Il Paese è fermo, bloccato, privo di qualsiasi slancio o bagliore di ripresa. Non c’è ancora un clima adatto per uscire dal clima di propaganda positiva governativa o negativa delle opposizioni. Questa imbarazzante situazione ostacola una presa di coscienza, in grado di unire le forze nazionali per uscire dalla attuale mortificante è penalizzante circostanza.
Sarebbe necessario, da parte del Governo, abbandonare i mille fronti politici aperti, per davvero dominare quello più essenziale come quello economico e determinare cambiamenti, programmandoli puntualmente e gestendoli con il tempo necessario.
Ma i numeri per loro natura non tradiscono mai se non manipolati. Insomma i dati non sono obbedienti come le veline che facilmente possono penetrare il sistema della informazione, nel proposito di trasformare la notizia in un fatto.
Le cifre dell’Istat parlano da sole e non ci raccontano niente di buono. Rispetto alle previsioni del governo, anche di quelle di due mesi fa, siano sotto di 0,3-0,2 punti. E poco conta che si tratta di decimali. Perché per un Paese che cresce dello «0,» anche i decimali fanno la differenza.
Ma quel che è peggio è il confronto con gli altri partner europei. L’Italia cresce un punto meno della media dell’Eurozona e anche di più rispetto alla media dell’Unione europea. La Francia ha un Pil doppio, il Regno Unito triplo. La Spagna cresce addirittura dello 0,8% nell’ultimo trimestre 2015, otto volte più dell’Italia, e del 3,2% per l’intero anno, 5,3 volte più dell’Italia.
Se per gli ottimisti questo vuol dire che il paese è ripartito, c’è da fare gli auguri agli italiani a che non si facciano ulteriormente male come è accaduto nell’ultimo settennio. Questi numeri toccano tutti noi. Così come riguardano tutti noi anche quelli, ugualmente deludenti, del mercato del lavoro. In un anno gli occupati sono aumentati di 109 mila unità (meno 138 mila autonomi, più 247 mila dipendenti). Solo che la parte del leone la fanno i lavoratori meno giovani: più 189mila nella fascia 50-64 anni. E non basta. Nel 2014 (sul 2013), quando non c’erano né Jobs Act né decontribuzione, gli occupati sono cresciuti di 168 mila unità. Con le due misure nel 2015 si sono avuti 135 mila nuovi contratti a tempo indeterminato, mentre sono stati 113 mila a tempo determinato.
Costo stimato degli sgravi circa 12 miliardi in tre anni.
Non possiamo non farci alcune domande: si tratta di posti di lavoro nuovi davvero o di «trasformazioni»? Quanti di questi sarebbero nati ugualmente? Che cosa accadrà alla fine del triennio?
Pil, occupazione, consumi, investimenti: l’Italia è ferma, dunque. Possiamo domandarci se è tutta colpa dell’Europa (che sicuramente ha le sue responsabilità) o se c’è anche qualcosa di sbagliato, come pensiamo, nelle politiche economiche che negli ultimi anni i governi hanno praticato? Le cose vanno molto male e ciò fa presagire che è arrivato il tempo di bandire le politiche di pura propaganda ed inaugurare cure più appropriate alle gravi malattie che abbiamo, se non vogliamo andare incontro al disastro. Ma smetteranno gli italiani di credere alle qualità taumaturgiche dei capi del momento? Sicuramente la soluzione di base al quesito, dipenderà molto dal cambio di mentalità dei nostri cittadini.
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