È bufera a Rende (Cosenza), comune amministrato dal Pd, per la perquisizione e sequestro della Dda di Catanzaro, nella quale si denunciano casi di parenti di boss che lavorano all’interno di ditte che hanno appalti con il Comune e presunti favoritismi nell’attribuzione di immobili comunali. Ora, il sindaco Vittorio Cavalcanti, nella foto, dopo due settimane sulla graticola, si dimette. Tutta colpa di un ciclone giudiziario che ha investito la città, anche con l’arrivo della commissione d’accesso antimafia al Comune.
Proprio mentre l’ex sindaco Umberto Bernaudo e l’ex assessore Pietro Ruffolo sono stati scagionati dall’aggravante mafiosa, i giudici di Catanzaro sembrano voler rilanciare con nuovi elementi dell’inchiesta. La nuova attività ha lasciato sorpresi anche alcuni deputati del Pd (Enza Bruno Bossio, Demetrio Battaglia, Bruno Censore, Ernesto Magorno e Nicodemo Oliverio).
«È sconcertante ciò che sta avvenendo – dicono i parlamentari – Un Comune ed un’amministrazione civica che hanno realizzato una città e costruito una comunità agli antipodi della cultura mafiosa. Parchi urbani, verde, piazze, musei, centri sociali, decine e decine di scuole, tante chiese, la predisposizione di quanto necessario per accogliere l’Università della Calabria ed il più grande insediamento industriale della Regione. È del tutto evidente che la cultura amministrativa che ha prodotto ciò è impermeabile ad ogni tipo di condizionamento della criminalità organizzata. A quanto ci viene riferito il servizio mensa, la gestione del Centro dei Minori e l’assegnazione di un locale, sono avvenuti a seguito di regolari procedure di evidenza pubblica ed i soggetti assegnatari sono tutti muniti del certificato antimafia della Prefettura». Solo in caso di dimissioni del sindaco, il Comune sarebbe salvo da un eventuale scioglimento straordinario. E questo ha fatto Cavalcanti, si è dimesso.
Spiega il sindaco al quotidiano della Calabria: «Ci sono fatti ed eventi che ti impongono di riflettere non tanto sul merito, quanto sul momento, e ti inducono ad andare oltre lo specifico. Dico subito che la lettura, attraverso i giornali, del contenuto del decreto della Dda suscita tante perplessità, perché non ti è chiaro il senso complessivo: non riesci a capire perché, in altri termini, possa essere un filone d’indagine la presenza di parenti di boss della criminalità organizzata tra i dipendenti di ditte che hanno appalti con il Comune.
È difficile ritenere che questo dato possa avere il significato di un indizio di “erogazioni pubbliche in favor e di clan della malavita locale”, ma, al di là di ogni tua personale convinzione, resta fermo ed incrollabile il rispetto istituzionale per il ruolo della magistratura, specie in una regione in cui i rischi di infiltrazioni e di condizionamento della mafia sono altissimi. In quel momento, però, ti scorrono come in un film le immagini di questi due anni e, soprattutto, ti domandi se e cosa hai fatto per governare adeguatamente un momento del tutto eccezionale ed inatteso: dunque, non solo cosa hai fatto per l’attuazione del programma, ma anche per operare forme di contrasto verso la criminalità organizzata ed, ovviamente, ti chiedi se ed in che termini ci sei riuscito».
Foto: Comune di Rende
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