Non è mai troppo abusato, nel caso del Mezzogiorno, il vecchio detto «passata la festa, gabbato lo santo». Basta un rapporto giustamente allarmato sulle condizioni, sempre più drammaticamente tragiche, del nostro Sud e immediata scatta la litania delle promesse. I ministri e lo stesso presidente del Consiglio si sbracciano a stracciarsi le vesti e a promettere leggi speciali e speciali misure.
Così è stato anche quest’estate dopo il Rapporto Svimez. Annunci a raffica sulle mille iniziative in cantiere. Tutte pronte, tutte avviabili non a giorni ma ad horas. Il tempo di una settimana e quel pacchetto straordinario diventa uno dei capitoli-chiave della legge di Stabilità. «Tanto – questo il ritornello – manca poco e quella è la sede più opportuna per lanciare il Piano Mezzogiorno».
Il punto è che la legge di Stabilità pure arriva. Anzi, si può dire che ci siamo. E, almeno a giudicare dalle anticipazioni (ma saremmo sempre felici di essere smentiti), di quell’eccezionale menù di misure pro-Sud rimane il libro dei sogni delle grandi opere, insieme con l’annuncio di svariati miliardi di risorse collegate a quegli investimenti.
C’è da essere soddisfatti? No. Anzi, temiamo che possa essere passata un’altra volta la festa e che un’altra volta il santo possa essere stato gabbato.
Eppure, non è che ci volesse un genio per mettere davvero in campo anche solo due sole misure, queste sì semplici e rivoluzionarie al tempo stesso.
La prima è nota da decenni, ma non si capisce mai perché non si fa. E’ la fiscalità di vantaggio per chi investe nelle aree del Meridione: taglio secco delle tasse sulle imprese del 50 per cento. Punto. Automatico, diretto, immediato. L’Europa non lo accetta? E perché mai? Non si è fatto forse in questo modo nella altre aree arretrate del nostro continente, a cominciare dalla vecchia Germania dell’Est al momento della riunificazione? E allora, avanti anche da noi.
La seconda operazione è altrettanto di diretta realizzazione. Occorre centralizzare in una struttura unica statale, una sorta di Agenzia speciale, tutte le procedure (dalla progettazione agli appalti) per le grandi e meno grandi opere nel Mezzogiorno e per i finanziamenti alle imprese che derivano dai fondi europei. In caso contrario, rimaniamo sempre dentro quell’impostazione che porta a fissare di anno in anno l’elenco delle infrastrutture da realizzare, senza mai riuscire a tradurre quei progetti in realtà.
Diciamoci le cose come stanno: regioni e comuni del Sud non sono più nelle condizioni di assolvere a questo compito, se non a rischio di perdere quelle risorse o di farle defluire verso rivoli opachi se non illegali. E’ per questo che anche gli annunci di quest’anno sui miliardi disponibili e sulle opere cantierabili ci fanno di nuovo mal pensare sulle effettive volontà di cambiare rotta.