La traduzione dal dialetto calabrese della parola “eu”, che non vuol dire “egli” ma “io”, potrebbe essere decisiva per la sorte di uno dei 76 imputati del processo Minotauro contro la ‘ndrangheta piemontese.
Di questo si è discusso ieri nell’aula bunker delle Vallette, a Torino, alla ripresa del dibattimento. Il personaggio in questione, Antonio Papalia, era stato chiamato in causa perché due boss, in una conversazione intercettata dai carabinieri, sembrava che lo indicassero come affiliato all’organizzazione con il grado di “santa”.
Ieri uno dei periti del tribunale, Leonzio Gobbi, ha esaminato la registrazione (molto disturbata) e ha stabilito che, in effetti, si sente dire “eu … eu … la santa”, cosa che il professor Luciano Romito, associato di fonetica e fonologia all’Università di Calabria, ha tradotto come “io … io … la santa”.
“Sono soddisfatto dell’esito dell’udienza – commenta il difensore, l’avvocato Donato Di Giorgio – perché è da due anni che insieme al collega Giovanni Taddei mi batto per chiarire questo punto essenziale”.
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