A venti mesi dalla chiusura dello stabilimento Fiat, Termini Imerese fa i conti con una realtà durissima: 3.500 i posti di lavoro persi nel 2012, 54 le attività imprenditoriali chiuse nello stesso anno, 6,5% di residenti in meno rispetto al 2011.
La chiusura della Fiat, secondo i dati forniti dal sindaco di Termini Imerese, Salvatore Burrafato, ha avuto sul Pil della Sicilia un impatto negativo dello 0,46%, con la perdita di 825 milioni di euro. La vicenda di Termini Imerese contribuisce a fare della Sicilia una regione con una percentuale di disoccupati del 21,6% nel secondo trimestre di quest’anno (2,2% in più rispetto a un anno fa).
Dei circa 1.900 ex dipendenti della Fiat, 640 sono gli esodati e 1.200 quelli tutt’ora in cassa integrazione, che scade a dicembre; un centinaio sono gli operai delle fabbriche dell’indotto che usufruiscono della Cig in deroga. E pensare che la fabbrica siciliana, negli anni Ottanta, aveva raggiunto i 3.200 addetti, oltre il doppio rispetto ai 1.500 con i quali era cominciata, nel 1970, l’attività della Fiat nell’Isola. Intanto, dal tavolo aperto a livello nazionale, non arrivano segnali concreti per le ex tute blu. Il prossimo febbraio scade l’accordo di programma che avrebbe dovuto risolvere la vertenza con l’arrivo di altre aziende nell’ex sito del Lingotto.
Tra le ipotesi c’era l’insediamento della Dr Motor, accantonata dopo lunghe trattative. Recentemente il presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, ha annunciato l’interessamento di altre aziende, ma finora non è accaduto nulla. Nell’area industriale di Termini Imesere, dove fino a un paio d’anni fa lavoravano una quarantina di imprese, i capannoni sono chiusi e soltanto una dozzina di attività rimane in piedi. In attesa di capire cosa porterà l’accordo di programma, chi ha chiuso i battenti preferisce aspettare eventuali opportunità future, piuttosto che vendere o affittare gli spazi, sperando che terreni e capannoni vengano rivalutati.
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