Contaminazione dopo contaminazione, dello spirito originario della Notte della Taranta non resta più nulla. È di ieri l’annuncio che il coreografo della prossima edizione della manifestazione salentina, che si svolgerà il 27 agosto, sarà Fabrizio Mainini, noto al grande pubblico per aver firmato le coreografie del Festival di Sanremo nonché quelle delle più popolari trasmissioni di Carlo Conti (Tale e quale show, L’anno che verrà, I migliori anni).
Il pedigree dell’artista è ineccepibile, è la filosofia sottesa alla scelta molto discutibile. Sempre più dichiaratamente, La Notte della Taranta ha imboccato il filone nazional-popolare trasformandosi in un fenomeno sempre più (meramente) mediatico e turistico.
Il neocoreografo promette sfracelli (nel senso più autentico della parola) dichiarando che “rileggerà in chiave contemporanea lo spirito della danza che cura”. L’annuncio è stato salutato dal consueto coro di entusiastici consensi che accompagna ogni cosa che si muova attorno alla Notte della Taranta, sempre più evento, sempre meno ciò che era un tempo: espressione bella e pulsante della identità musicale di un popolo.
Viene fatto di chiedersi perché a questo punto non nominare maestro concertatore Al Bano (l’attuale è Carmen Consoli), che se non altro è pugliese, e conosce bene la vera cultura della taranta.
“Il Salento non è la Romagna, Melpignano non è Rimini, e la Taranta non è il liscio, ma il background sta diventando pericolosamente affine – scrivevo un paio di anni fa, in una lettera meridiana non a caso intitolata Il crepuscolo della Taranta – . La Notte della Taranta non mi piace più perché lo spirito primigenio di questa musica dell’anima se n’è andato forse per sempre con Pino Zimba. Perché la notte magica è stata contagiata dalla logica dell’evento a tutti i costi, che alla fine annacqua la cultura autentica e con essa l’identità. Che non fanno brand. Ma sono cultura, identità e basta. Per questo la Notte della Taranta non mi piace più. Preferisco il Festival di Carpino, molto più genuino.”
Leggendo stamattina la notizia della nomina di Mainini, ho pensato proprio a Pino Zimba, interprete straordinario di Sangue Vivo, il film di Edoardo Winspeare (a mio sommesso giudizio, il migliore film pugliese di sempre). Ho ricordato la sequenza in cui Zimba e il suo gruppo, chiamati a suonare nella casa del boss, vengono interrotti durante il concerto, e messi alla porta, perché gli invitati si erano annoiati: volevano ballare i balli della televisione e della cultura di massa. Pino la prende male, malissimo. L’episodio innescherà una spirale di eventi che porterà alla sua morte.
Otto anni dopo quella superba interpretazione in Sangue Vivo, Zimba, grandissimo tamburellista e inteprete della taranta, se n’è andato per davvero. Chissà che penserebbe, sapendo che a menare le danze sul palco di Melpignano che tante volte lo ha visto tra i protagonisti, sarà il coreografo di Sanremo.
Forse la risposta sta proprio nella sequenza finale di Sangue Vivo cesellata da Edoardo Winspeare. A rivederla oggi ha un sapore quasi profetico. Guardatela qui sotto, commuovetevi, amatela, condividetela.
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