“La dignità non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza di meritarli”. Per questo, un anno dopo essere stato nominato, ho deciso oggi di dimettermi da direttore responsabile di Antenna Sud. Rimanere seduto su quella poltrona non avrebbe avuto più alcun senso dopo il licenziamento di nove colleghi su dieci della redazione e di buona parte del personale tecnico di quella che è stata per lungo tempo la seconda emittente televisiva pugliese.
Direttore di che? Antenna Sud, la tv nella quale sono entrato 14 anni fa e che ha permesso la mia maturazione professionale, l’emittente che ha raccontato per 34 anni le vicende di Puglia e Basilicata spesso distinguendosi per originalità, tempestività, bravura, non c’è più.
L’azienda, che come noto ha chiesto il concordato preventivo e ha ottenuto dal Tribunale l’esercizio provvisorio per poter completare la fase di cessione di tutti i beni, mi ha presentato un piano (per me) inaccettabile dal punto di vista professionale. E anche umano.
Un piano “a tempo determinato” con un unico obiettivo, che nulla ha a che fare con il giornalismo. O, almeno, con quello che io ritengo sia il giornalismo, demone maledetto che scorre nelle mie vene da sempre e guida tutto il mio agire. Mi è stato chiesto di “coprire” un’ora e mezza circa di informazione al giorno (quanto previsto dalla legge per non perdere concessione e contributi pubblici) con l’apporto di una sola collega (disponibile per quattro ore quotidiane) e di un operatore-montatore. Quand’anche fossi riuscito a fregarmene di tutti coloro che hanno ricevuto il benservito, avrei dovuto andare avanti per mesi pregando che nessuno prendesse il raffreddore. E la qualità? E il diritto dei telespettatori di avere una informazione puntuale? Dettagli. Per altri, forse. Non per me. E non commento il palliativo prospettatomi di ricevere tre servizi quotidiani da una agenzia di comunicazione, chiedendomi di fatto di dimenticarmi di coloro che hanno perso il posto di lavoro dopo essere stati per dieci mesi senza stipendio. Colleghi con i quali ho diviso gioie e dolori per più di un terzo della mia vita.
Un anno fa ero stato chiamato al capezzale di una azienda già in grossa difficoltà per tentare di darle una scossa. Credo, senza falsa modestia, di aver assolto il mio compito (anche grazie alla disponibilità di molti che hanno creduto in me) nei primi sei mesi della mia direzione, fino a quando ne ho avuto la possibilità.
Abbiamo incrementato le edizioni del tg, abbiamo realizzato il primo radiogiornale autoprodotto della storia di Radio Antenna Sud, abbiamo più che triplicato il numero di visitatori del sito internet battendo di gran lunga tutti i record di visualizzazioni. La grave crisi economica e i numerosi errori gestionali del passato però non ci hanno permesso di continuare una avventura difficile (con un budget disponibile vicino allo zero) ma esaltante. Peccato. Andare avanti, oggi, dopo sei mesi di sciopero e sette di black out dell’informazione (con la sola parentesi di una divertentissima diretta per le elezioni politiche) non avrebbe avuto alcun senso. Ho rinunciato a un po’ di soldi ma ho deciso di seguire la sorte dei miei colleghi. Me lo hanno imposto la mia dignità e la mia coscienza.
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