L’industria italiana mostra “un quadro di diffusa debolezza“, “la perdita di produzione ha assunto dimensioni preoccupanti ” e “in tutti i comparti industriali i livelli produttivi sono inferiori a quelli precedenti la crisi “. L’analisi, a tratti drammatica, è contenuta in un ampio e documentato rapporto stilato da otto economisti della Banca d’Italia che hanno passato a setaccio “il sistema industriale italiano tra globalizzazione e crisi “. Il quadro descritto è plumbeo e, in alcuni casi, i problemi hanno una valenza storica.
Ma l’approccio non è pessimista: “Vi sono buone ragioni per dubitare che il destino dell’industria italiana sia segnato – dicono gli economisti di Bankitalia – Il suo declino non è irreversibile, purché le imprese sappiano trasformarsi “. In pratica Bankitalia fa il tagliando all’impresa italiana, indicando carenze ma anche possibili aree di intervento. E rompe anche qualche tabù che alimenta il dibattito economico: per ridare competitività – viene spiegato – la priorità non è il costo del lavoro, ma l’alto prelievo fiscale e il costo dell’energia. Un secondo tabù? “Le carenze in termini di miglioramento dell’efficienza produttiva – è scritto chiaramente – non sono il riflesso di una domanda interna stagnante, ma discendono da debolezze dal lato dell’offerta “. Come dire: c’è qualche colpa anche sul fronte industriale, anche in termini di innovazione di prodotto. La crisi è stata durissima. La più intensa – scrivono gli economisti ricordando le parole del governatore Ignazio Visco – dalla fine della seconda Guerra Mondiale: dal 2007 il pil è sceso di 7 punti.
A preoccupare gli esperti di Bankitalia è la perdita della produzione, anche nel confronto con i vicini francesi e tedeschi. Dall’aprile 2008 a dicembre 2012 la flessione è stata del 52,2% nel comparto degli elettrodomestici (a fronte di un calo del 9,8% francese e del 19,1% tedesco) e del 51% per gli autoveicoli (contro la contrazione francese del 41,8% francese e l’aumento tedesco dell’1,5%). Per l’industria del legno, che contiene anche il settore dei mobili, il crollo è stato del 45%. L’impatto della crisi è poi stato fortissimo su alcune roccaforti del Made in Italy come il tessile e le calzature: la flessione è stata rispettivamente 30,7% e e del 39,1%.
Ma – segnala Bankitalia – è una tendenza di lungo periodo: dalla seconda metà degli anni ’90 i livelli produttivi si sono ridotti del 50 e del 70%. Per l’auto, invece, il calo da allora è del 60%. Le caratteristiche che non aiutano la produttività sono moltissime.
Più che il costo del lavoro c’è la pressione fiscale che in Italia è superiore di 2,5 punti percentuali ai Paesi dell’area dell’euro. Considerando anche l’Irap l’aliquota legale sui redditi delle società è più alta di 5 punti.
Lo stesso vale per il “cuneo fiscale ” che è il vero nodo del costo del lavoro. La controprova? La retribuzione netta di un lavoratore medio celibe – dice il rapporto – era nel 2011 in Italia “inferiore del 15% rispetto al Belgio e alla Francia, di circa il 20% rispetto all’Austria e di poco più del 30% rispetto alla Germania”. Il capitolo energia non aiuta di più. “I prezzi sostenuti dalle aziende italiane per gli acquisti di energia elettrica, che costituiscono oltre la metà delle spese energetiche delle imprese industriali, sono superiori di circa il 30% rispetto alle loro concorrenti europee “.
Ci sono poi nodi storici, interni al settore industriale: la bassa capitalizzazione, la dimensione microscopica, lo scarso ricorso al mercato, le poche risorse impegnate nella in ricerca e sviluppo, la proprietà ancora troppo familiare.
L’appello ad un intervento è chiaro. “La politica economica non può non riservare una particolare attenzione al settore industriale“, viene scritto. Ma non con sussidi vecchia maniera. Bisogna agire sui costi delle imprese: dall’energia alla pressione fiscale, in particolare sul costo del lavoro. E, per quanto riguarda interventi di aiuto “definire un insieme ristretto di misure di sostegno che siano ben mirate, ben definite, attentamente monitorate e, per quanto possibile, automatiche”. Tre gli aspetti da agevolare: le start up innovative, la ‘ricerca e sviluppo ‘ e l’internazionalizzazione
Ma ecco i dati nel dettaglio, dall’auto alle calzature, dal tessile ai mobili: ecco la riduzione della produttività registrata nei vari settori tra l’aprile del 2008 e il dicembre 2012 nel confronto tra Italia, Francia e Germania (rielaborazione Bankitalia su dati Eurostat)
SETTORI PRODUTTIVI GERMANIA FRANCIA ITALIA – ALIMENTARI +0,6 +4,3 -3,7 – TESSILE E ABBIGLIAMENTO -23,2 -42,9 -26,3 di cui tessili -20,3 -38,9 -30,7 di cui abbigliamento -29,1 -55,9 -24,7 – ARTICOLI IN PELLE -3,0 +6,3 -31,1 di cui: Calzature -8,9 -32,8 -39,3 – INDUSTRIA DEL LEGNO -13,1 -23,3 -45,4 – ARTICOLI IN GOMMA E PLASTICA -3,3 -20,6 -28,7 – COMPUTER, ELETTRONICA, OTTICA +2,5 -14,9 -14,2 – APPARECCHIATURE ELETTRICHE -12,9 -20,5 -39,3 Di cui: Elettrodomestici -19,1 -9,8 -52,2 – AUTOVEICOLI +1,5 -41,8 -51,0 – MOBILI E ALTRE MANIFATTURE -4,0 -18,2 -20,7 – ENERGIA, GAS, VAPORE -8,7 -5,0 -18,6.
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