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Il business del metano in Sicilia e Abruzzo erano in mano a Cosa Nostra
22 Mag 2013 07:46

Le mani dei boss sugli appalti per la metanizzazione in Sicilia.

Un ingente patrimonio costituito da società, attività commerciali, immobili di pregio e disponibilità finanziarie, del valore complessivo di circa 48 milioni di euro, è stato sequestrato dalla guardia di finanza di Palermo in esecuzione di un provvedimento emesso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo su proposta della Procura della Repubblica.

Il sequestro è il risultato di un’indagine del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Palermo, coordinata dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi e dal sostituto Dario Scaletta, che ha fatto emergere le infiltrazioni di ‘Cosa Nostra e dei suoi leader storici – fra cui Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e Matteo Messina Denaro – negli affari delle societa’ appartenenti ad un gruppo imprenditoriale che ha curato, a cavallo fra gli anni ’80 e ’90, la metanizzazione di diverse aree del territorio siciliano.

Le indagini si sono concentrate in primo luogo sulla genesi del gruppo, costituito negli anni ’80 da un dipendente pubblico, grazie all’investimento di ingenti risorse finanziarie di dubbia provenienza, sviluppatosi grazie alla protezione della mafia e ad appoggi politici – in particolare dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino – arrivando ad ottenere ben 72 concessioni per la metanizzazione di comuni della Sicilia e dell’Abruzzo, i cui lavori di realizzazione sono stati in più occasioni affidati in sub appalto ad imprese direttamente riconducibili a soggetti con precedenti per mafia e comunque vicini alla criminalità organizzata.

L’inchiesta si è avvalsa di numerosi riscontri legati alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia come Giovanni Brusca, Vincenzo Ferro, Antonino Giuffré; al contenuto di alcuni pizzini sequestrati a boss mafiosi; all’esame di decine di contratti di appalto e sub appalto per l’esecuzione di lavori connessi alle opere di metanizzazione.

Gli investigatori hanno ricostruito la storia delle diverse società del gruppo in parallelo a quella della ricchezza accumulata nel tempo dalla famiglia del fondatore, subentrata nelle gestione dopo il suo decesso avvenuto nel 2000.

L’indagine si è poi estesa alle operazioni di cessione dell’intero pacchetto azionario e del patrimonio delle società, nel 2004, per un corrispettivo di circa 115 milioni di euro, che avrebbe permesso agli eredi dell’imprenditore di “ripulire” gli ingenti proventi acquisiti grazie all’appoggio di Cosa Nostra nella costituzione di nuove società, nell’avvio di fiorenti attività commerciali e nell’acquisto di beni immobili a Palermo e nella provincia di Sassari, tra appartamenti, ville e case di pregio.

Tra i beni sequestrati, in Sicilia e Sardegna, figurano società immobiliari e di produzione di metalli preziosi, imprese agricole, attività commerciali di prodotti petroliferi, oggetti d’arte, appartamenti, uffici, locali affittati ad importanti aziende e catene commerciali – molti dei quali nel centro di Palermo – immobili, locali commerciali, opifici, autorimesse, magazzini e disponibilità bancarie.


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