ANGELINO Alfano fino a due anni fa era il segretario del Popolo delle libertà e in questa veste fu indicato come ministro degli Interni del governo Letta.
Decaduto Berlusconi, Alfano, vuoi per effetto della moral suasion di Napolitano, vuoi per conservare il suo importante incarico, decise di rompere con il Pdl e di fondare un suo partito. In perfetta coerenza tra fatti e parole lo battezzò Nuovo Centro Destra nel momento stesso in cui ribadiva l’alleanza con il centro sinistra. A questa scelta e al duplice ruolo di ministro degli Interni e segretario del Ncd, Alfano è rimasto saldamente affezionato anche dopo la brusca defenestrazione di Letta a opera di Renzi.
Da allora Alfano ha resistito alla sistematica contestazione della Lega, all’alternarsi di serenate e di reprimende di Forza Italia e, soprattutto, alla noncuranza in cui Renzi sembra tenerlo nonostante i suoi trenta voti al Senato. Pago di avere appena sfiorato il quorum elettorale alle europee, Alfano ha serenamente accettato la disparità di trattamento riservata dal premier ai propri sottosegretari colpiti da avvisi di garanzia rispetto al caso equivalente di Nunzia De Girolamo e persino alle traversie non giudiziarie di Maurizio Lupi.
SUBÌTO l’ultimatum di Renzi di votare Mattarella, Alfano ha vantato come un trionfo il recente successo in alcuni comuni della Sicilia conquistato dal suo deus ex machina locale, il sottosegretario Castiglione, già inquisito per turbativa d’asta nell’assegnazione dell’appalto sul centro immigrati di Mineo, indagine associata a quella su Mafia Capitale. Mentre quel che resta del suo partito è in preda alle convulsioni centrifughe tra chi vorrebbe ricongiungersi al centro destra, chi confluire nel Pd e chi protrarre l’ambiguità attuale fino alla vigilia delle politiche, Alfano appare come l’anello più debole del sistema e rischia di far le spese dell’affanno e appannamento della maggioranza e del governo. Forse si riferisce a questo Buzzi quando dice: «Se parlo di Mineo salta il governo».
STA di fatto che la gestione dell’immigrazione – al netto degli egoismi europei e delle speculazioni della Lega – appare sempre più corrotta e imbelle e il fallimento coinvolge tanto Alfano quanto Renzi. Il premier e il suo ministro degli Esteri, Gentiloni, dopo avere minacciato fuoco e fiamme non hanno saputo stabilire un minimo di cooperazione né di pressione sulle autorità libiche, né esercitare un minimo di dissuasione. Per non parlare di Federica Mogherini che con il suo annuncio, «Non respingeremo neanche un migrante!», ha fornito ai partner europei l’alibi per lasciarci nelle peste.
Il ministro degli Interni, a sua volta, non sembra in grado di organizzare un coordinamento per distribuire le ondate di profughi, limitandosi a caricarli sui pullman per scaricarli qua e là senza preavviso. Intanto, austriaci, tedeschi, francesi, sgamato il trucco italiano di non prendere le impronte ai migranti per aiutarli ad attraversare le frontiere, hanno di fatto sospeso Schengen. Ancora una volta gli italiani registrano che l’incompetenza e la vacuità dei loro politici aprono la strada ai disastri, ai corrotti e ai clan criminali e, di conseguenza, alla supplenza della magistratura.