“Mai più un caso Pompei“, per la cultura serve un cambio di passo e un “ruolo centrale” nel Paese, con più fondi e più attenzione da parte della politica ma anche riforme e nuove regole.
Camicia bianca e vestito grigio fumo di Londra, per un giorno senza zainetto, il nuovo ministro dei beni culturali e del turismo Massimo Bray presenta in Parlamento le linee guida del suo mandato. E non tradisce la sua provenienza da direttore dell’enciclopedia Treccani, con una relazione lunga quasi trenta pagine, fitta di emergenze e temi da affrontare, dalla tutela dei monumenti al paesaggio, dalla fruizione dei musei ai problemi del cinema, dello spettacolo dal vivo, dell’organizzazione ministeriale.
Pompei è la priorità, anche agli occhi del mondo, sottolinea subito, con la necessità di tradurre presto in risultati concreti il progetto di restauri finanziati dalla Ue.
Va accelerato anche il restauro del Colosseo e rinnovato l’impegno per Domus Aurea e Appia Antica. Ma fondamentale è la battaglia per suolo e paesaggio “che va difeso, tutelato e recuperato perché è parte della cultura e della storia del nostro Paese” e merita attenzione così come architettura ed arte contemporanea.
Su tutto, va da sé, incombe l‘allarme dei fondi con il Fus ridotto a meno di 390 milioni di euro (erano 530 nel 2001): “Se guardo ai conti del ministero – fa notare Bray ai parlamentari – capisco che di casi come quello di Pompei potrebbe succederne uno al giorno”.
Lui garantisce l’impegno a “razionalizzare le risorse e a cercare i fondi per ridare al Mibac la dignità che merità”. E “a ribadire in tutte le sedi e in tutti i luoghi” la considerazione che la cultura – “che è interesse pubblico essenziale, ma anche l’oggetto di un insieme di diritti fondamentali del cittadino” – “deve avere in Italia un ruolo centrale”.
In primo piano, vista la crisi economica, anche la necessità di un partenariato con i privati, “un’opportunità che va regolamentata”, avverte poi anticipando l’intenzione di affidare ad un gruppo di lavoro la definizione di linee guida da sottoporre poi Camera e Senato. L’apertura comunque c’è – subito applaudita dall’ex ministro pidiellino Giancarlo Galan, oggi presidente della commissione Cultura della Camera – tanto che in un passaggio della relazione si ipotizza la concessione a privati dei siti culturali statali che attualmente non si riesce ad aprire al pubblico.
I temi toccati dal ministro sono comunque tanti, dalla necessità di una fiscalità di vantaggio per i beni e le attività culturali all’urgenza di un rinnovo del tax credit per il cinema e di un provvedimento che riporti nelle casse del Mibac la globalità degli introiti dei musei, attualmente in parte ‘drenati’ dal Tesoro. E ancora: interventi per rendere più accoglienti i musei, necessità di inasprire le pene per i reati contro il patrimonio culturale, modifica della normativa sui ‘Monumenti nazionali’ per evitare ‘fatti gravissimi” come quelli del furto ai Girolamini. Particolarmente sottolineato, il tema della prevenzione del rischio sismico così come la necessità di trovare un equilibrio tra tutela del patrimonio e ed energie rinnovabili (di questo, anticipa, si parlerà già domani in Consiglio dei ministri).
Nell’impegno del ministro anche gli archivi e la conservazione delle memorie digitali, le biblioteche, l’editoria (lancia l’idea dell’iva al 4% per l’e-book e per le pubblicazioni in formato elettronico), la riforma delle fondazioni liriche, nuove procedure per l’assegnazione dei contributi per lo spettacolo, l’organizzazione del ministero con la necessità di un recupero di efficienza. Infine l’idea di una ‘Biennale della Cultura popolare’ con un impegno in favore del patrimonio culturale immateriale. Il dibattito il 20 giugno, intanto arrivano gli applausi dei presidenti di commissione. Sebbene Galan, dopo gli apprezzamenti, sottolinei la delusione per la mancanza di una quantificazione dell’emergenza risorse (“Sono appena arrivato, datemi tempo”, risponde lui). Una bacchettata anche dal Pd Matteo Orfini: “non ha parlato delle problematiche del lavoro”.
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