Giammai avrei pensato che la mia vita sarebbe stata legata da un sottile filo conduttore di morte. Quanti ne ho visti: troppi!
La mia spensierata crescita tra gli affetti della mia famiglia e dei miei coetanei, era ricca di emozioni e allegrie.
E invero, ad un tratto la morte si presentò spietata col carico di tristezza che cambiò la mia giovinezza. Avevo appena 10 anni, quando vidi morire un mendicante.
Quell’uomo, un omone ai miei occhi, che di certo non aveva mai visto il mare, si addentrò in mare con l’evidente scopo di chiedere l’elemosina a dei pescatori intenti a pescare con le loro barche.
Quell’uomo, non conosceva le insidie del mare e a nulla valsero le nostre gride, miei e dei miei coetanei per fermarlo. Scomparve! Recuperarono il corpo nel tardo pomeriggio. Dopo qualche anno, mentre ero in macchina con mio padre, innanzi a noi ci fu un incidente tra un autocarro e un motociclista. Vidi balzare l’uomo dalla moto e cadere pesantemente a terra. Ci fermammo per prestare aiuto, ma ahimè, i miei occhi videro il rantolo e l’ultimo suo respiro.
La mia vita di poliziotto mi portò a Nuoro dove dividevo la camerata con Giovanni Maria Tampone, stessa mia età. Un sabato lo vidi andare in servizio gaio e sereno per poi rivederlo steso nella camera mortuaria.
Fu ucciso da un bandito sardo in un posto di blocco.
Nel 78 trovandomi a Roma in servizio all’Istituto di medicina legale, fui incaricato di non far passare nessuno nel luogo ove doveva eseguirsi l’autopsia sul corpo di Aldo Moro.
Vidi l’On. Moro steso su un lettino coi fori di proiettili sul petto e accanto a lui c’era un giovane deceduto per overdose.
Nel corridoio si presentò il colonnello dei carabinieri Evaristo, (conoscevo di fama) ma io non impedii l’accesso come da ordini ricevuti, non potevo: anche lui fu poi assassinato dalle brigate rosse.
Tralascio le decine e decine di persone che vidi cadaveri a seguito di morte violenta o suicidi, davvero un’ecatombe.
Prima di andare a lavorare nella mia città natia, Palermo, mi giunse la notizia della morte violenta del mio amico e collega Filadefio Aparo, assassinato dalla mafia.
Giunto a Palermo, ebbi subito il benvenuto col primo omicidio di mafia: era stato assassinato qualche minuto prima Totuccio Inzerillo. Poi a seguire vidi Pio La Torre e il suo autista Di Salvo, poi ancora il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, sua moglie Emanuela Setti Carraro e il collega Domenico Russo. E dopo qualche mese, fui colpito al cuore con la morte di Lillo Zuchetto.
Seguirono Beppe Montana, Roberto Antiochia, Ninni Cassarà, Natale Mondo, tutti della mia Sezione investigativa e i carabinieri Mario D’Aleo, Giuseppe Bommarito e Pietro Morici.
Morì in servizio per un incidente stradale uno dei miei più cari amici Beppe Lercara. E infine Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Ovviamente ho citato coloro che conobbi personalmente o che vidi, ma le vittime della violenza mafiosa sono centinaia e centinaia e a tutti va il mio commosso ricordo.
Non auguro a nessuno di essere testimone di violenza. Spero, che un giorno questo filo nero di morte, possa essere definitivamente spezzato e che trionfi la vita.
L’uomo se vuole può diventare UOMO!
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