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Faida di mafia, 240 anni di carcere
11 Mag 2013 06:56

Cinque ergastoli, otto condanne a 30 anni di reclusione e un’assoluzione. È la sentenza, che accoglie le richieste della Dda della Procura, del processo Revenge III, celebrato col rito abbreviato davanti al Gup di Catania, Laura Benanti, sulla faida mafiosa che ha visto contrapposti il gruppo dei ‘Carateddi’ e la ‘famiglia’ Ercolano-Santapaola.

Il procedimento, complessivamente, ha trattato nove omicidi commessi tra il 2001 e il 2010 dal clan contrapposto ai vertici di Cosa nostra.

Gli ergastoli sono stati comminati a Sebastiano Lo Giudice, Orazio Privitera, Vito Acquavite, Antonino Bonaccorsi e Antonino Stuppia. Condannati a 30 anni di reclusione ciascuno: Antonino Aurichella, Agatino Di Mauro, Alessandro Guerrera, Giovanni Musumeci, Orazio Musumeci, Giuseppe Platania, Alfio Sanfilippo e Natale Squillaci. Assolto uno solo degli imputati: Domenico Privitera. L’accusa era stata rappresentata in aula dai sostituti Lina Trovato e Pasquale Pacifico, quest’ultimo era entrato nel ‘mirino’ della cosca.

“È una sentenza – ha commentato il magistrato – che sposa la tesi dell’accusa e conferma il buon lavoro svolto durante l’inchiesta”.

L’operazione Revenge III della squadra mobile della Questura di Catania è del 1 dicembre del 2011. Le indagini della polizia e la collaborazione di pentiti hanno permesso di fare luce su nove omicidi, compreso un caso di lupara bianca. Tra le vittime anche persone estranee a contesti criminali, come l’imprenditore Mario D’Angelo, ucciso nella sua azienda di contrada Fiumazzo il 10 giugno del 2001 per contrasti di vicinato con un parente del boss Domenico Privitera che gestiva un’azienda agricola che confinava con la sua.

Agli atti del processo anche le immagini dell’omicidio di Orazio Daniele Milazzo, riprese da alcune telecamere di sorveglianza della zona. In occasione dell’omicidio di Giacomo Spalletta, considerato elemento di spicco del clan Sciuto Tigna, gli investigatori hanno accertato che gli autori andarono nel cimitero ad avvertire la moglie della vittima meno di 10 minuti dopo il suo omicidio. Due delitti sono da inquadrare nelle logiche della ‘famiglia’ che è ‘disonorata’: Salvatore Gueli è ucciso perché aveva una relazione con una cugina del boss Lo Giudice; mentre Orazio Daniele Milazzo sarebbe stato eliminato per la sua convivenza con la vedova di un parente dei Bonaccorsi.

L’inchiesta ha confermato i legami tra il clan Cappello e i Lo Piccolo di Palermo: tra i due gruppi infatti sarebbe stato deciso l’assassinio del boss Raimondo Maugeri, del clan Ercolano-Cappello, per scardinare Cosa nostra a Catania.


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