Da fiore all’occhiello dell’industria non solo meridionale – fino alla fine degli anni ’90 e all’inizio del secondo millennio – a uno stato di crisi tanto profondo da costringere l’azienda maggiore, Natuzzi spa (468,8 milioni di euro di fatturato nel 2012, quotata allaborsa di New York dal 1993), ad annunciare che, per 1.726 dipendenti, la scadenza della cassa integrazione straordinaria – a ottobre prossimo – coinciderà con l’inizio della mobilità, secondo quanto previsto da un “Piano di salvaguardia del polo Italia” che punta alla “salvaguardia” dell’azienda e al suo rilancio, con oltre 190 milioni di investimenti.
La risposta dei sindacati? Sciopero immediato in tutti gli stabilimenti del gruppo. È la parabola del distretto del mobile imbottito, un’area industriale fra Puglia e Basilicata che, dai primi anni del 2000 al 2012 ha visto calare le aziende da 520 a 100 e gli addetti da 14 mila a seimila (3.175 dei quali dipendenti di Natuzzi e 1.340 nell’indotto). La globalizzazione, il “forte apprezzamento dell’euro verso le principali valute”, la concorrenza sui prezzi dei Paesi emergenti hanno fatto il resto.
Oggi Natuzzi ha incontrato a Roma i sindacati e ha annunciato – proprio poco prima dell’apertura di Wall Street – che “gli attuali organici in Italia non sono più sostenibili e tecnicamente non possono più essere gestiti attraverso la cassa integrazione straordinaria”: quindi, alla fine della cig, cioé tra quattro mesi, via alla mobilità. Che significa? E’ semplice: “Riorganizzazione dell’assetto italiano del gruppo” per salvaguardare sia l’azienda sia “la posizione di 2.789 lavoratori (1.449 interni e 1.340 nell’indotto)”.
Perché si è arrivati a questa scelta? Perché Natuzzi licenzia – provocando un vero e proprio “trauma” in due Regioni italiane che avevano affidato ad un accordo di programma le speranze di rilancio del “distretto” – per tornare “in condizioni di redditività e creare i presupposti per un solido percorso di crescita futura salvaguardando, quanto più possibile, l’occupazione nel territorio pugliese e lucano“? La risposta è, nelle parole di Natuzzi, un atto di accusa ad alcune “problemi” italiani: il dito è puntato contro i “costi industriali” di alcuni competitor stranieri (più bassi) e contro “alcuni concorrenti sleali insediati nel distretto” (che vuol dire “lavoro nero“). Un divario “enorme”, dice il gruppo, che si aggiunge alla “crisi del mercato immobiliare“, e un “ulteriore calo dei consumi in Europa e in Italia“.
La reazione all’annuncio di Natuzzi – che, nei giorni scorsi, in un primo contatto coi sindacati, aveva prospettato esuberi ancora più consistenti – è stata rapida: il governatore della Puglia, Nichi Vendola, ha chiesto la convocazione di un “tavolo” al ministero dello Sviluppo economico, mentre la Fillea-Cgil ha promesso “una stagione di lotte durissime” (e poco dopo è arrivata la proclamazione dello sciopero immediato e unitario con Feneal e Filca), la Filca-Cisl ha espresso il timore che Natuzzi sia alla vigilia del suo “disimpegno dall’area murgiana“, la Regione Basilicata ha chiesto al Governo di ritrovare il suo ruolo centrale. L’on. Cosimo Latronico (Pdl) ha già annunciato un’interrogazione al Governo. Insomma, come grosse nuvole che anticipano “l’autunno caldo“.
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