“Sicilia. Crocetta: Grave intimidazione al presidente Irsap Alfonso Cicero, domani conferenza stampa”.
È il titolo dell’ultimo comunicato stampa di Rosario Crocetta, il governatore antimafia della Regione Siciliana. Più delle analisi di Pietrangelo Buttafuoco, più dei detrattori, a fornire un’analisi sociologica, un paradigma formato Bignami del Crocetta – pensiero, è Crocetta stesso. Spettacolarizzazione, mediaticità, conferenze stampa annunciate pochi minuti prima (o a volte anche dopo) da comunicati stampa da lui stesso scritti e mandati (ipse dixit).
Non solo sugli annunci di provvedimenti governativi (poi approvati dal Parlamento completamente diversi ), sulle scoperte nella macchina regionale della cosiddetta manciugghia (copyright di Crocetta medesimo, corrispettivo gelese del romanesco magna magna), ma anche su temi delicati come appunto le minacce. E si sa come in Sicilia non ci sia minaccia che non possa essere non mafiosa. Ma se fino a qualche anno fa (vedi il caso del fallito attentato dell’Addaura) spostare l’attenzione dalla piovra era spesso escamotage che puzzava di malafede, oggi la situazione è radicalmente diversa e molto più complessa.
Nei giorni precedenti all’intimidazione, la nomina di Cicero era stata pesantemente criticata da maggioranza e opposizione.
“Alfonso Cicero – ha chiarito Crocetta nella conferenza stampa post minaccia annunciata ieri sera – è intanto il commissario nominato dalla giunta regionale che porta avanti la battaglia di moralizzazione antimafia. Poi capisco che ci sono i punciuti che si lamentano”.
Una specifica immancabile il riferimento ai mafiosi (i punciuti che si lamentano) per un governatore condannato a morte da Cosa Nostra. Che però potrebbe suonare anche come: visto che Cicero lavora per una giunta antimafia, nominato da me che sono condannato a morte da Cosa Nostra, è sicuramente nel giusto. Ed è per questo che il collega Accursio Sabella fa bene a ripescare un passaggio di Leonardo Sciascia, contenuto nel famoso articolo sui Professionisti dell’antimafia.
“Prendiamo, per esempio- scriveva Sciascia sul Corriere della Sera – un sindaco che per sentimento o per calcolo cominci ad esibirsi – in interviste televisive e scolastiche, in convegni, conferenze e cortei – come antimafioso: anche se dedicherà tutto il suo tempo a queste esibizioni e non ne troverà mai per occuparsi dei problemi del paese o della città che amministra (che sono tanti, in ogni paese, in ogni città: dall’acqua che manca all’immondizia che abbonda), si può considerare come in una botte di ferro. Magari qualcuno molto timidamente, oserà rimproverargli lo scarso impegno amministrativo; e dal di fuori. Ma dal di dentro, nel consiglio comunale e nel suo partito, chi mai oserà promuovere un voto di sfiducia, un’azione che lo metta in minoranza e ne provochi la sostituzione? Può darsi che, alla fine, qualcuno ci sia: ma correndo il rischio di essere marchiato come mafioso, e con lui tutti quelli che lo seguiranno”.
È questo che si rischia a criticare Crocetta? Ed è a questo gioco, anticipato dallo scrittore di Racalmuto già 25 anni fa, che sta giocando il governatore siciliano? Perché senza nulla togliere allo storico impegno antimafia del governatore, alla Sicilia oggi, oltre a distruggere quell’immenso reticolo affaristico mafioso che ha fatto cuccagna delle Istituzioni, servirebbe anche qualcuno che ricostruisca sulle macerie che odorano di tangenti, prebende e ruberie criminali.
O almeno che ci provi. Alla Sicilia della rivoluzione, come la chiama lo stesso Crocetta, serve un presidente che restituisca dignità nel lavoro, parità nei diritti e nell’accesso alle professioni, sviluppo. Oltre alla lotta strillata a Cosa Nostra, dopo anni di politici conniventi e favoreggiatori, oltre alla rotazione spasmodica e continua dei dirigenti (che ha come effetto quello di paralizzare l’attività burocratica regionale), oltre agli annunci rivoluzionari pompati dai media nazionali e poi svaniti (Muos no, Muos si, Province no, Province forse, Province boh, e così via) oltre ai comunicati stampa arrivati un minuto dopo (non prima, dopo) le operazioni della forze dell’ordine che squarciano il velo sulla mala amministrazione siciliana, occorre anche altro.
Oggi, dopo dieci mesi di governo, alla Sicilia servirebbe davvero un presidente che faccia parlare i fatti. Al format tv della lotta alla mafia, tanto troppo simile a quello descritto da Sciascia, al monito manicheo del “chi è con me è nel giusto”, andrebbero aggiunti più disegni legge poi approvati da una maggioranza parlamentare, che in più di un’occasione, a dire il vero, è sembrata latitante. E non è un caso se sindacati come Cgil e Cisl, associazioni di imprenditori e artigiani, facce pulite dell’amministrazione aziendale, hanno fino ad ora bocciato l’opera del nuovo presidente Crocetta. Saranno mica mafiosi, punciuti, anche loro?