L’uomo è un animale politico, dice Aristotele, marcando in modo definitivo la storia del pensiero politico occidentale, e, nello stesso tempo, imponendo all’umanità un fardello assai più grave del biblico “lavorerai col sudore della tua fronte”.
A quest’ultima maledizione i più fortunati possono sottrarsi, mentre la solitudine del civis è impossibile.
È bene ricordarsi che “l’individuo non può avere consistenza al di fuori dello spazio civile”.
Invece l’umanità (noi), non ha chiara la consapevolezza della sua condizione ”aristotelica” dell’ ”essere” politico“, una proprietà esistenziale che permane e si realizza anche quando si crede di sfuggire alla condanna, non esercitando il proprio diritto-dovere di civis.
Chi rifugge inorridito da certa cattiva politica, sostenendo di non fare politica, ha in realtà scelto di fare politica due volte, una per sé e una proprio per quelli che aborre e, di fatto, perpetua la cattiva politica e consente a quei soggetti che lo disgustano e di cui vorrebbe liberarsi di rimanere saldamente al loro posto.
A nulla rileva che fisicamente al posto di Tizio subentri Caio se Tizio, come spesso accade, è figlio politico o addirittura naturale di Caio, o se Tizio ha defenestrato Caio con una congiura di palazzo.
In sintesi, chi vorrebbe vivere in un mondo migliore, senza avere tra i piedi un accrocco stralunato di politicanti, deve “bagnarsi il ditino”, deve scendere in campo e metterci la faccia, deve lottare e deve andare a votare con la consapevolezza acquisita che non “sono tutti uguali”, che in giro c’è gente assai migliore di quella.