Sembra una barzelletta invece è tutto vero. Già perché in città da otto mesi è vietato dare da mangiare ai gatti. Per farlo occorre una patente, un tesserino rilasciato dall‘azienda sanitaria pubblica. Lo impedisce una delibera del Comune che recita così: «A tutela della salute e del benessere degli animali, non è consentito alimentare i gatti a chi non sia in possesso della qualifica di gattaio o gattaia rilasciata dall’Asl».
Si tratta dell’articolo 9 della delibera con cui il 5 marzo scorso il consiglio comunale ha inteso mettere regole «per la tutela e la gestione degli animali». L’assurdo è che si vieta a un cittadino di dare un po’ di cibo a un gattino randagio o a un cane affamato: serve la patente, altrimenti multa da 25 a 500 euro.
Approvata all’unanimità dall’assemblea civica. Il sindaco Massimo Zanda si era affrettato a far sapere che si era trattato di un errore e che la delibera sarebbe stata corretta. Invece, sono trascorsi quasi otto mesi ma di correzioni e rimedi neppure l’ombra. I cagliaritani che amano cani e gatti e li sfamano rischiano sanzioni: per il consiglio comunale, quando incontrano un animale in difficoltà, dovrebbero girarsi dall’altra parte.
«Scorrendo il testo della delibera – scrive in una nota Nico Selis, un docente universitario che da anni accudisce a proprie spese decine di animali randagi – si vede subito come sia improntato agli schemi di una rozza sociologia, da una parte gli animali di proprietà, che possono e devono essere tutelati. Dall’altra parte i gatti randagi per i quali non ci sono né casa, né cura, né acqua, né cibo. Questi ultimi vanno ignorati, dimenticati, abbandonati». Per Selis «siamo così pervenuti ad una forma di patologia dell’atto amministrativo e del collegio che lo ha adottato, perché solo l’alzheimer, anche se solo un alzheimer di tipo burocratico ed amministrativo, può spiegare un tale abominio». Selis conclude: «Gandhi diceva che la civiltà di un popolo non si misura dal progresso tecnico ma da come esso tratta gli animali. E qui siamo all’età delle caverne».