Ai piedi di un albero in una strada di campagna troviamo i protagonisti dell’opera senza tempo di Samuel Beckett, “Aspettando Godot”. Vladimiro (detto Didi) ed Estragone (detto Gogo) stanno aspettando un certo signor Godot. Non sanno di preciso chi possa essere, ma lo attendono, spinti dalla speranza del suo arrivo. Nello scorrere di un tempo che sembra non esaurirsi mai, si sforzano di trovare un senso alle loro vite condividendo la propria quotidianità; interagiscono tra loro con scambi di battute e di pensieri che attraversano la loro mente, con discorsi molto spesso sconnessi e superficiali. Ben presto sulla scena arrivano anche Pozzo, proprietario della terra sulla quale Vladimiro ed Estragone stanno, e il suo servo Lucky, trattato come una bestia e tenuto al guinzaglio con una lunga corda. Il tanto atteso Godot però non arriverà mai in scena; si limiterà a mandare un giovane ragazzo che dirà a due clown/barboni che Godot “oggi non verrà, ma verrà domani”.
“Aspettando Godot”, capolavoro del teatro dell’assurdo, testo chiave del Novecento, lo abbiamo visto in tutti i possibili allestimenti. E’ un favola amara eppure così visceralmente vitale costruita intorno a uno degli enigmi più complessi della vita dell’uomo. Moltissime sono state le chiavi di lettura dei suoi protagonisti, eppure la forza di quest’opera sta proprio nella sua grande contemporaneità, ovvero nell’Attesa con la A maiuscola, la sintesi di tutte le attese possibili. “Aspettando Godot” ci ricorda costantemente quanto la condizione dell’uomo sia fragile di fronte alle difficoltà dello stare al mondo e quanto i legami con gli altri esseri umani siano necessari per resistere e per continuare il nostro viaggio in questo mondo.
La recitazione dei quattro personaggi che ci raccontano questa storia è affidata a quattro grandi interpreti del teatro italiano quali Marco Quaglia, Gabriele Sabatini, Mauro Santopietro e Antonio Tintis. La regia è affidata ad Alessandro Averone che Resto al Sud ha già avuto il piacere di intervistare; il regista torinese (attore già noto al pubblico) ancora una volta dimostra una rara sensibilità, ovvero quella di saper leggere in un testo ciò che può essere inesistente per i più. La sua regia all’interno ma anche dietro le battute, unite le une dalle altre da uno spartito coinvolgente di parole, riporta sul palco la reale magia di un testo senza tempo in cui si fa teatro, un teatro reale, finalmente un teatro vero. Non ci resta che andare sabato 1 aprile a Fontanellato, in provincia di Parma, per vedere lo spettacolo!
“Aspettando Godot” è senza ombra di dubbio l’opera teatrale più conosciuta di Samuel Beckett. Cosa ti ha spinto a sceglierla e a portarla in scena?
Vi si riscontra un fortissimo senso di attualità! La condizione in cui Beckett colloca i suoi personaggi è molto vicina alla situazione in cui si trova la mia generazione in questo momento. Descrive quattro uomini persi in un universo disperato in cui la totale mancanza di punti di riferimento e la sensazione di essere circondati dal nulla accomunano oramai molti di noi.
Chi è per te Samuel Beckett? In cosa consiste la sua modernità?
E’ un grandissimo scrittore e autore teatrale, oltre che di molte altre forme di letteratura. E’ molto raro incontrare
una scrittura che sia così conforme al teatro, così piena di azione, un’azione però nascosta tra le righe. La sua scrittura infatti lascia spazio a qualcosa che di fatto deve ancora accadere in scena, un qualcosa che però non viene raccontato esplicitamente se non tra le righe.
Sono in molti ad aver portato “Aspettando Godot” sul palcoscenico dei più grandi teatri. La scelta degli attori che hanno tra i 35 e i 40 anni ha un significato preciso, perché nella maggior parte delle rappresentazioni teatrali sono visti molto più anziani?
Perché Beckett lascia qua e là informazioni all’interno del testo che fanno intendere che si tratti di persone avanti con gli anni con problemi legati alla vecchiaia. Ho deciso tuttavia di portare in scena “Aspettando Godot” abbassando l’età dei personaggi. L’opera teatrale è stata scritta nel secondo dopoguerra e, per quanto il contesto storico fosse ben diverso da quello attuale, noto ci sono alcune similitudini con la mia generazione, quella cioè compresa tra i 35 e i 40 anni, in cui la situazione sociale ed economica rischiano l’impossibilità purtroppo di trovare dei punti di riferimento.
Tra i personaggi, troviamo anche il messaggero di Godot, il cosiddetto “ragazzo”. Nel testo, questo giovane uomo non ha un nome proprio. Come interpreti questa scelta di Beckett?
Credo che l’autore volesse contrapporre due generazioni, l’una molto distante dall’altra. Il suo intento ritengo fosse quello di introdurre un personaggio che rappresentasse una fascia d’età molto giovane, in questo modo il pubblico sarebbe stato obbligato a interrogarsi su cosa di fatto quest’ultima generazione si dovesse aspettare per il proprio futuro, viste le condizioni precarie in cui era ridotta la precedente.
Ognuno di noi spesso tende a comportarsi come Vladimiro ed Estragone di fronte alle difficoltà della vita; cerchiamo di resistere in una condizione che di fatto non porta a nulla, rimanendo così nel nostro malessere. Qual è la forza di questi due personaggi?
Vladimiro ed Estragone sono due uomini dai caratteri molto diversi; il primo è loquace e razionale, il secondo invece è un sognatore, spesso più incostante. Entrambi però restano lì, l’uno attaccato all’altro per cercare di non soccombere. Non fuggono, stanno. Restano fermi nella loro condizione esistenziale, dimostrando a ognuno di noi che aggrapparsi ai rapporti umani può essere una salvezza.
Vladimiro ed Estragone sono in attesa di Godot ed è proprio l’attesa uno degli enigmi della vita dell’uomo. Per te?
L’attesa è un motore per poter agire ma anche per poter reagire. E’ un mistero che influisce sulle nostre azioni. Non deve spaventarci, anzi! Vladimiro ed Estragone sono due uomini che aspettano che arrivi un certo signor Godot; chiunque può identificarsi in loro, ognuno di noi è infatti in attesa. E’ una sorta di input per fare le cose, per spingerci a provare, per fare tentativi.
Oltre al tema dell’attesa, Beckett affronta altre interessanti tematiche come per esempio la ricerca, quasi perdita, della propria identità. La consapevolezza di questa ha ancora un forte valore in una società come la nostra in cui prevale il relativismo e l’appiattimento culturale?
Certo che ha valore! E’ infatti una lotta sempre più disperata perché gli ostacoli presenti nel nostro cammino esistenziale e le distrazioni sono molto forti e sempre più frequenti. Possono portare ad allontanarci sempre di più dal vero senso della vita. Ecco che è davvero importante stare ben ancorati alla propria identità e a chi in realtà siamo.
Sul finire del dramma, c’è una frase che sembra contraddire il profondo pessimismo di Beckett e aumentarne l’ambiguità. “Se Godot viene, saremo salvi”. Dinnanzi alle avversità, le sconfitte e i dolori della vita, esiste una salvezza per noi uomini o comunque una speranza per qualcosa di migliore?
Esiste nel momento stesso in cui comprendiamo che non possiamo aspettarla per sempre.
Ognuno di noi la salvezza deve cercarsela. Vladimiro ed Estragone infatti continuano a salvarsi proprio perché, anche se aspettano, non delegano in realtà tutto a questo fantomatico Godot. Ogni uomo si interroga e sta aspettando una risposta che gli riveli il senso dell’esistenza, anche se di fatto può non arrivare mai.
Chi o cos’è Godot?
Qualsiasi forma di assolutismo e di verità imposta dall’esterno che non è raggiunta tramite una consapevolezza razionale. Quando si delega senza averne consapevolezza, si finisce per aspettare qualcosa che di fatto non è detto che arrivi.
Cosa vorresti arrivasse al pubblico del tuo “Aspettando Godot”?
C’è una luce, una speranza allo stare al mondo. Il mistero che ci sembra incolmabile è un’occasione per lottare per trovare un senso ancorandosi ai rapporti umani . Dobbiamo vivere nell’istante, qui ed ora, sempre perché la vita è un insieme di attimi che devono essere colti.
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