Nel dibattito intorno al Mezzogiorno, giova ribadire un concetto essenziale: è l’Italia ad aver bisogno del Sud. Per tanti motivi: storia, bellezza, cultura, unicità. Il nostro Paese prende il nome da Re Italo, sovrano calabrese saggio e lungimirante, alla morte del quale, i sudditi decisero di attribuirsi il nome di “Itàli”. La Svimez svela i numeri che i Sindaci conosco bene, perché questa sofferenza ha i volti e le storie di persone che raccontano molto di più di qualsiasi “rapporto”.
Oggi la retorica della condanna verso il Sud, è stata indebolita da alcuni fattori, su tutti: il realizzare che alcuni fenomeni non hanno natura locale. Se, infatti, la gestione “allegra” degli appalti al sud impallidisce rispetto agli scandali del Mose e se ci si è dovuti arrendere al fatto che la ‘ndrangheta esiste tanto a Reggio Calabria quanto a Milano, ne consegue che non esiste una parte di Paese che sia “antropologicamente” diversa dall’altra; ma che la corruzione e il malaffare aumentano quando la politica smette di assolvere al proprio ruolo di governo dei processi democratici.
Svimez racconta di un rischio di desertificazione entro i prossimi 40 anni, ma oggi è già in atto un’altra desertificazione, quella dei valori di cittadinanza. Al sud fa fatica ad assicurare i livelli essenziali di assistenza (LEA), ma ci troviamo costretti a pagare come se queste prestazioni fossero garantite. Sono le distorsioni di un sistema perverso che fa degradare i diritti sociali a diritti geografici e che prevede carichi fiscali eguali per prestazioni diseguali. E’ confortante, dunque, l’approccio del Min. Guidi perché punta a diminuire i differenziali di sviluppo attraverso una programmazione seria. La storia recente ci consegna, tuttavia, l’immagine di un sud “bancomat” delle politiche economiche del Paese. L’inefficienza dell’utilizzo delle risorse UE al Sud, infatti, è stato funzionale ad altre aree del paese: le quote latte, la cassa integrazione in deroga sono operazioni che, negli anni, hanno drenato oltre 3,5 mld di risorse da sud a nord. Serve, pertanto, un intervento infrastrutturale che non abbia a oggetto soltanto i bisogni del Sud ma anche i sogni del Paese. Se l’alta velocità si ferma a Salerno, non è una sconfitta per la Calabria ma per il Paese. Se non si crea la ZES al Porto di Gioia Tauro, è l’Italia a perdere. Se la A3 si ferma a Campo Calabro e la statale 106 non viene ammodernata, siamo plasticamente di fronte all’immagine di un paese che va a due velocità.
C’è una nuova classe dirigente che non si reca a Roma col cappello in mano a chiedere “qualcosa” ma disegnando un’idea di sviluppo e chiedendo solo gli strumenti per poterla utilizzare. La scommessa sul Sud, quindi, è la scommessa sugli amministratori del sud. Abbiamo grandi idee e vogliamo politiche pubbliche da condividere, verificare e correggere con il governo centrale. La qualità della politica si basa sulla idoneità delle decisioni di produrre effetti concreti e positivi.
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