Un governo “occulto” – alle dirette dipendenze dell’azienda – che di fatto gestiva l‘Ilva, il più grande siderurgico d’Europa sotto accusa da più di un anno.
La notizia era emersa già a luglio (nelle motivazioni con cui il Tribunale del Riesame di Taranto rigettava i ricorsi di Riva Fire e Riva Forni Elettrici contro il sequestro di beni per 8,1 miliardi di euro disposto dal gip Patrizia Todisco) ma oggi questo “governo occulto” ha anche dei nomi e dei volti.
La guardia di Finanza di Taranto, infatti, ieri mattina, ha eseguito cinque ordinanze di custodia cautelare – quattro in carcere e una ai domiciliari – nei confronti di altrettanti soggetti che facevano parte, secondo gli investigatori, di questa “struttura ombra” della famiglia Riva che agiva all’interno dell’Ilva in base alle direttive della proprietà pur non essendo inquadrata nell’organigramma dell’azienda.
Insomma fiduciari che di fatto “governavano il siderurgico Tarantino”, non erano “inquadrati nell’organico di Ilva spa, ma erano riconducibili direttamente alla proprietà e alla famiglia Riva” e per questo – per gli investigatori – erano “lo strumento di controllo della proprietà sulla vita dello stabilimento (dovevano cioè assicurarsi che fossero rispettate le logiche aziendali), dettando dall’esterno le linee della politica aziendale”.
Le accuse contestate dalla procura di Taranto ad alcuni membri di questo “governo occulto” dell’Ilva: associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro.
Accuse gravissime che dovranno essere provate, ma che continuano per il momento a gettare ombra sull’operato del più grande stabilimento siderurgico d’Europa.
Il nuovo filone d’inchiesta sullo stabilimento tarantino è nato da un approfondimento dell’inchiesta madre – Ambiente Venduto – quella che ha portato l’estate scorsa al sequestro degli impianti dell’area a caldo e all’arresto di alcuni membri della famiglia Riva, proprietaria dell’acciaieria.
Una tempesta giudiziaria che da agosto del 2012 si è abbattuta sul siderurgico e sugli oltre 12mila operai che ci lavorano e che da un anno temono per il loro posto di lavoro.
Intanto l’emergenza sanitaria in città continua.
A Taranto, nei quartieri più vicini all’Ilva, c’è un malato di cancro ogni 18 abitanti.
E nei rioni più distanti da altiforni e ciminiere c’è un malato di cancro ogni 26 abitanti. E’ il movimento ambientalista Peacelink ad aver fornito la scorsa settimana questi nuovi dati, ricavati – spiegano – dall’analisi del numero degli esenti ticket per patologie tumorali.
Ma questa è una storia tristemente nota: il legame tra inquinamento e patologie tumorali era già emerso dai documenti consegnati dagli esperti nella primavera 2012 al gip Patrizia Todisco. Queste perizie – agli atti – hanno costituito la base delle accuse che a luglio dello stesso anno hanno portato al sequestro senza facoltà d’uso degli impianti dell’area a caldo e agli arresti di otto persone tra dirigenti e proprietari. Fra questi ultimi, gli ex presidenti dell’Ilva, Emilio Riva e il figlio Nicola, che solo il 26 luglio scorso hanno lasciato gli arresti domiciliari. Ad ottobre scorso, poi, un’altra evidenza scientifica: lo studio “Sentieri” dell’Istituto superiore di sanità che ha nuovamente sottolineato il nesso fra inquinamento industriale e gravi malattie a Taranto.
Nel frattempo la città aspetta la chiusura delle indagini e il processo.
Il 5 settembre il gruppo “Ammazza che Piazza” ha festeggiato il suo secondo anno di vita. Giovani di tutte le età (che ripuliscono piazze, riqualificano quartieri degradati, organizzano eventi cittadini per sensibilizzare sui temi ambientali. E in occasione di questo anniversario (5mila i membri del gruppo su fb- hanno anche un blog) sono tornati a chiedere giustizia. “Chi ha sbagliato deve pagare. Nessuno può restare impunito”.
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